Se questo è un uomo

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Come molti uomini italiani, e parecchi uomini del mondo, provo una certa passione per il calcio. Da piccolo, da ragazzo, ho passato ore a giocarci con gli amici, nel campo di asfalto sotto casa, o in quello in terra battuta della parrocchia del Carmine; e sebbene i risultati siano stati sempre modesti, con pochissime eccezioni – qualche partita giocata inspiegabilmente bene -, ricordo bene di aver pensato che avrei giocato a calcio per tutta la vita. A quattordici anni, però, mi sono rotto un ginocchio, e a quindici ho trovato la morosa: passai quindi a praticare altri sport, che nel complesso mi davano più soddisfazione.

Ho continuato comunque a guardare qualche partita, specialmente quelle dei mondiali e degli europei, e a seguire, da lontano, la mia squadra del cuore (dove con “cuore” non intendo l’organo con cui amo, o che palpita di passione per la nascita di un figlio, ma il suo surrogato un po’ sempliciotto e fanciullesco che uso per le piccole passioni), cioè la Juve. La domenica, lo ammetto, guardo i risultati, anche se spesso scopro che le partite si sono giocate il giorno prima, o che sono saltate per qualche incidente, o che non sono ancora iniziate.

Qualche anno fa il padre di un compagno di classe di mio figlio Jurij, che allora faceva l’asilo, mi ha invitato ad andare con loro a una partita del Milan. Non ero mai stato a San Siro. L’esperienza è stata abbastanza bella: i miei compagni di viaggio erano persone civili, educate (“se scopriamo che qui dentro c’è uno juventino, lo lasciamo in autostrada”), e amanti del lato bello del calcio. La partita, in compenso, è stata noiosa – il Milan giocava con il Catania e dopo il primo gol di Shevchenko, segnato al primo tempo, non è successo più nulla. La cosa che mi ha colpito di più, però, sono stati i canti delle opposte fazioni: quelli del Milan schierati compatti da un lato, quelli del Catania schierati sul lato opposto, nel terzo anello, dietro a una rete di protezione (protezione dello stadio nei loro confronti). C’era, in quei cori, qualcosa di primitivo, mescolato a qualcosa di mostruoso: una forza primordiale, animale, ottusa, cieca, che sembrava prevalere sopra le coscienze di ciascuno. Anni fa Daniele Silvestri aveva scritto una canzone che parlava proprio di questo: sosteneva, alla fine del ritornello, che lo slogan è fascista di natura.

In questi ultimi giorni, forse complice la crisi, che più che esasperare gli animi delle persone è in grado di tirare fuori la vera natura delle persone, sono successi almeno due episodi particolarmente interessanti. Il primo è successo a Genova, dove gli ultras del Genoa hanno costretto i giocatori a interrompere la partita per togliersi la maglietta; il secondo ieri, a Roma, dopo la partita tra Roma e Napoli finita in pareggio: i tifosi hanno contestato la loro squadra. E’ possibile che cose simili succedano tutte le domeniche, ma questa volta alcuni fotografi hanno catturato le immagini di quella contestazione: Totti, di fronte ai suoi tifosi (con i quali ha sempre pericolosamente tubato) che ascolta in silenzio le loro grida.

E c’è una foto in particolare che mi ha colpito:

Un esemplare di essere umano

Chi è quell’uomo? Cosa fa nella vita? Quali sono i suoi pensieri? La coscienza viene definita, in filosofia, come la complessa interiorità rappresentata dai sentimenti, le emozioni, i desideri, i prodotti del pensiero, e si esplica in un dialogo interiore, in un continuo colloquio con la propria anima… Ma è cosciente, quest’uomo? A cosa pensa, quando non grida insulti a Totti? Cosa sogna, la notte? Cosa desidera? A cosa aspira? Come educa i suoi figli? Ho letto da poco un libro eccezionale, del quale spero di parlare presto, qui su Grafemi, che tenta di dimostrare come la coscienza sia un risultato molto recente nell’evoluzione dell’uomo – qualcosa che si può far risalire, più o meno, al 1000 a. C.. Eppure, guardando questa foto, gli occhi di questa persona (che non sembra neanche abbastanza  giovane da poter essere considerato in un età di passaggio), sono convinto che esistano ancora sacche di “non-coscienza” – gruppi di persone assolutamente primitive, prive di un’anima, incapaci di un dialogo interiore… E se un tempo questi “non-uomini” venivano usati come carne da macello nelle guerre – la bassa manovalanza che si occupava della parte sporca delle Idee – ora vagano liberi, senza alcun mezzo per riuscire a immaginare la propria vita fuori da questi gruppi organizzati che continuano a gridare e a cantare e a menare per una partita di calcio, animali violenti incapaci di pensare…

ps Il titolo è volutamente provocatorio: quest’epoca è piccola anche nelle sue mostruosità.

7 commenti Aggiungi il tuo

  1. Zio Scriba ha detto:

    Cerco sempre d’impedirmi di giudicare dalle apparenze (anche per non essere ripagato con la stessa moneta) ma in questo caso direi che mettendo insieme lo sguardo e i tatuaggioni imbrattabraccia la risposta viene fuori, impietosa, da sé…
    Mettiamola così: mi sorprenderebbe assai scoprirlo appassionato di buona Narrativa,,, 🙂

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      L’aspetto non basta: è tutto il contesto che lo caratterizza… Ammetto di avere una certa repulsione verso il mondo degli ultras – come verso tutti gli ambienti dove la violenza è uno degli ingredienti principali – e questo sicuramente condiziona il modo con il quale guardo a questo tizio… ma non riesco a non vedere una violenza cieca e insensata nel suo sguardo – l’antitesi di tutto ciò in cui credo…

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  2. Susanna ha detto:

    Non riesco a condividere in toto la tesi, purtroppo, non ne sono capace. Penso che, se è vero che in quella foto traspare solo violenza cieca e incosciente, e se è vero che il mondo degli ultras è un mondo in cui ci si nutre dei propri istinti più bassi e vili, è vero allo stesso modo che, fortunatamente, quella foto coglie soltanto un attimo. Un solo secondo di vita di una persona. E una vita, se è vero che è composta di attimi, non può racchiudersi in un unico attimo.

    Io allargherei il respiro, se me lo concedi: sì, quello è un uomo. Ed è la dimostrazione più limpida del fatto che tutti gli uomini possono cadere in attimi di non-coscienza, anche solo per un attimo, anche solo per una stupidaggine come una partita di calcio. 😉

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      La mia tesi è volutamente provocatoria: non conosco quest’uomo, e gli auguro di avere una vita sensata fuori dallo stadio… Diciamo che l’obiettivo era il mondo degli ultras in generale. Tempo fa ero a Roma per lavoro, e il tassista che mi stava portando in albergo ascoltava una radio dei tifosi della Roma, o della Lazio (o della Juve, o di qualsiasi altra squadra): è stato terrificante, perché mi sono reso conto di come il calcio (uno sport che probabilmente nessuno dei tifosi pratica) non sia, per loro, un passatempo della domenica (o di qualsiasi altro giorno in cui si gioca l’anticipo, il posticipo o il recupero) ma una vera e propria ragione di vita. Ognuno, ovviamente, è libero di scegliere come vivere; tuttavia, le scelte descrivono le persone che le fanno.
      Da tempo abbiamo preso a considerare come “normale” il fatto che gruppi di persone sfascino treni e macchine in sosta, aggrediscano tifosi di squadre avversarie, cantino cori agghiaccianti con un’unica voce, si spostino lungo la penisola devastando autogrill, entrino in campo e ottengano la sospensione della partita (come era successo qualche anno fa proprio a Roma), accolgano con lancio di sassi le corriere dei giocatori, minaccino di morte presidenti, arbitri, ex-giocatori, uccidano (succede anche questo) persone. Non voglio dire che questo tizio abbia fatto tutto questo, ma, diciamo così, ci sono alcuni indizi che sia quello il suo orizzonte di vita… Cosa sta gridando, a Totti? Perché? Ventidue persone hanno giocato a calcio di fronte a un pubblico che li guardava: è sensato che sia questo l’epilogo – quelle urla, quello sguardo? Una volta tornato a casa, davvero considererà quei momenti come una parentesi nella sua vita? O non continuerà, piuttosto, a parlarne con le persone che gli sono vicine, a telefonare alla radio dei tifosi, a organizzare la protesta per la partita successiva? Io sono convinto che esistano persone che non sono mosse da un principio di ragionevolezza (e di consapevolezza) ma che si muovano sotto la spinta di istinti piuttosto primordiali – il gruppo, la competizioni con altre tribù, la violenza catartica… Sono uomini, certo… Però, ecco, non nel senso che tendo dare io alla parola. 😉
      Grazie per il tuo parere – sai quanto tenga in considerazione il tuo modo lucido di guardare il mondo! 🙂

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  3. Michele Lecchi ha detto:

    Ricordo benissimo che andai di corsa a comprare la musicassetta di Daniele Silvestri dopo aver ascoltato la canzone intitolata “Voglia di gridare”. Era il 1994, “Anno Primo” dell’Era fascista. Molti italiani gridavano slogan facilmente pilotati dalla televisione, inneggiando al nuovo Duce. Ma la canzone di Silvestri non alludeva solo alla situazione politica italiana del 1994, alludeva a un aspetto dell’umanità più in generale… sempre ricorrente in molte circostanze e in quasi tutte le Epoche della Storia. Per questo mi piace questa canzone in modo speciale.
    Credo che i tifosi negli stadi dovrebbero conoscere il ritornello della canzone, e rifletterci su:

    “…Non mi devi giudicare male
    anch’io ho tanta voglia di gridare
    ma è del tuo coro che ho paura
    perché lo slogan è fascista di natura!…”

    Ecco un video della canzone: http://www.youtube.com/watch?v=Qp3uUKLzZkE

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  4. Michele Lecchi ha detto:

    Chi è quest’uomo?
    Non lo conosciamo personalmente e quindi si prenda come una supposizione questa affermazione:
    Potrebbe essere un “M.I.N.I.M.O.”

    Cos’è un MINIMO? Ne parlavo quì:
    http://ilpensierodioggi.blogs.it/2009/09/14/fenomenologia-dei-m-i-n-i-m-o-6962657/

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