La simpatica favoletta della teocrazia in Tibet

Nel 1998, il Dipartimento di Stato americano stilò la classifica dei trenta gruppi più violenti ed estremisti del mondo: più della metà di questi si fondavano su basi religiose, e nello specifico si trattava di Musulmani, Ebrei e Buddisti.

La favoletta che vuole che i buddisti siano creature mansuete, perché così chiede la loro religione, è uno dei luoghi comuni più vecchi e usurati dell’Occidente, che tende a dimenticare come anche il Cristianesimo, giusto per fare un esempio, è stato alla base di violenze che hanno insanguinato mezzo mondo per almeno otto secoli. Ma solo per parlare degli ultimi vent’anni, i buddisti hanno combattuto ferocissime guerre contro altre religioni, o contro popolazione non schierata, in Thailandia, Burma, Corea, Giappone, India, Sri Lanka. Fanno eccezione i buddisti del Tibet?

La convinzione comune è che il Tibet fu, fino alla caduta del 1959 per mano della Cina, un regno basato sulla bontà, libero dall’egoismo tipicamente occidentale, senza corruzione, vizi e violenza: insomma, il paese dei balocchi, popolato da simpatici nanetti che passavano il giorno a pregare, a suonare il gong, e a cospargere il suolo di petali di rosa. A questa immagine hanno contribuito libri, film di Hollywood, e, non da ultimo, il Dalai Lama, che, testualmente, ha affermato che l’influenza del buddismo ha contribuito alla costruzione di una società dedita alla pace e all’armonia. Un modello di società alla quale il Tibet, così si dice, vorrebbe tornare.

Monaci buddisti

In realtà, le cose sono decisamente diverse. Il Tibet prima della caduta assomigliava, piuttosto, all’Europa sconvolta dalle guerre fratricide seguite alla Controriforma del sedicesimo secolo. Cinque Dalai Lama hanno salutato il loro regno per la mano assassina di sacerdoti o di componenti della corte che li circondavano – e questo nonostante lo status divino che gli era unanimamente riconosciuto.

Nel 1792, a tutti i monasteri del Tibet fu imposta la particolare corrente dottrinale del Dalai Lama, chiamata Gelug. La preghiera che innalzavano ogni mattina suonava più o meno così: “Ti preghiamo, dio violento, di ridurre in polvere tutti coloro – monaci o gente comune – che sporcano o corrompono la dottrina Gelug”.

Nel 1959, quando il Tibet cadde nelle mani dei Cinesi, questo paese era, di fatto, uno stato feudale, dove la maggior parte delle terre coltivabili era lavorata da servi della gleba, sotto il controllo o dei ricchi Signori, o dei ricchi Lama a capo della teocrazia: un paese medioevale, quindi, in mano a una casta di sacerdoti che non si facevano problemi a usare la forza per imporre il loro potere. I monaci vivevano in povertà, come i monaci del medioevo; il Dalai Lama, invece, e la sua corte, vivevano nel Potala Palace, una costruzione di 1000 stanze. L’idea che c’era in Occidente era che la gente lavorasse volontariamente per i monaci, per osservare le leggi del karma: in realtà, la casta sacerdotale disponeva di un vero e proprio esercito, con la quale opprimeva il popolo. I lavoratori non avevano alcun diritto; i proprietari terrieri potevano disporre dei loro servi in ogni modo – e le donne dovevano assecondare qualsiasi desiderio del loro signore. L’armamentario di cui disponevano i signori (Dalai Lama incluso) per far rispettare la propria volontà comprendeva manette di ogni tipo, strumenti per tagliare nasi e orecchie, strumenti per cavare gli occhi, strumenti per spezzare le mani e le gambe. Tutto questo, nel 1959, cioè 53 anni fa. E come in tutte le teocrazie che si rispettano, i bambini erano oggetto di violenze sessuali perpetrate dai monaci, che avevano fatto voto di castità.

Poi, è arrivata la Cina. La Cina è una dittatura dall’aspetto particolarmente brutto: ha commesso atrocità un po’ ovunque, sfrutta il popolo, condanna a morte. Non può essere difesa. Tuttavia, è bene sapere la reale entità di ciò che è stato commesso dai cinesi in Tibet, per capire quanto credito è giusto dare all’attuale Dalai Lama. Un fatto: il Dalai Lama afferma che la Cina, durante e dopo l’invasione del Tibet, ha ucciso 1.200.000 persone; ma nel 1953, sei anni prima dell’invasione, secondo il censo (tibetano) c’erano 1.240.000 persone. Il Tibet, nei primi anni sessanta, avrebbe dovuto essere uno sterminato cimitero – cosa che nessuno ha mai visto o affermato di aver visto. Un altro fatto: i Cinesi bloccarono qualsiasi attività di mutilazione perpetrata dai monaci nei confronti della popolazione.

Ciò non toglie che i Cinesi imposero una dittatura ferrea sul Tibet; in particolare, tra il 1966 e il 1976, sull’onda della Rivoluzione Culturale, la persecuzione contro i religiosi assunse forme terribili. Il passaggio forzato dalla servitù della gleba alla collettivizzazione produsse più danni che benefici. Tuttavia, già a partire dai primi anni ottanta, il pugno di ferro della Cina iniziò a sciogliersi: i monaci poterono tornare in Tibet e riaprire i monasteri, la religione venne tollerata – anche se è ancora vietato mostrare in pubblico una foto del Dalai Lama. Vennero imposte le leggi in vigore per il resto dei cinesi, con qualche vincolo in meno: ad esempio, il numero massimo di figli è tre (contro l’uno consentito, ad esempio, agli Han, una popolazione di madrelingua cinese che vive in Tibet), superati i quali non si ha più diritto all’assistenza sanitaria; assistenza che, per inciso, sotto il Tibet non esisteva.

E i Signori? Il Dalai Lama? Per loro il comunismo è stata una calamità ben più mite. Grazie alle sovvenzioni da parte della CIA (circa un milione e settecentomila dollari all’anno), hanno potuto abbandonare il loro Tibet, e ricostruirsi una vita altrove. Il Dalai Lama ha iniziato a parlare di diritti umani e di libertà religiosa – concetti sconosciuti in Tibet prima dell’avvento del comunismo – e di democrazia, e di costituzione: l’Occidente, evidentemente, deve avergli fatto bene.

Ma la visione politica di questa specie di papa rimane quantomeno confusa. Di sé, dice di essere metà marxista e metà buddista. Il marxismo, secondo lui, è fondato su principi morali, si prende cura dei lavoratori e del loro destino mentre il capitalismo pensa solo al guadagno e al profitto; tuttavia, si preoccupa di rassicurare chi vive nell’abbondanza: “E’ una cosa buona essere ricchi. Questi sono i frutti di buone azioni, la prova che [questi paesi] sono stati generosi nel passato”. E La sua morale assomiglia alla Rerum novarum che Papa Leone XIII promulgò nel 1891. Ecco cosa pensa il Dalai Lama della povertà: “Non ci sono buone ragioni per ribellarsi contro quelli che hanno ricchezza e fortuna. Meglio sviluppare un’attitudine positiva”. Non assomiglia alla condanna a una rassegnata povertà per tre quarti del mondo?

Il Dalai Lama promuove l’educazione delle donne – attività che in Tibet era sempre stata vietata sotto il dominio dei suoi predecessori, e che invece è sempre stata assicurata dalla dittatura cinese. Il suo parere sull’uso della forza per la risoluzione di controversie internazionali è abbastanza chiaro: sì all’intervento NATO in Iugoslavia, sì all’invasione dell’Afghanistan. Sull’Iraq, nel 2007 era ancora indeciso. Tra le altre cose, ha chiesto espressamente che Pinochet non venisse consegnato alla Spagna per essere processato per i suoi crimini (e d’altra parte, anche il nostro clero non ha mai preso le distanze dal sanguinario dittatore cileno, il quale, quando è morto, ha avuto un regolare funerale cattolico), e ha onorato del titolo “Eroe buddista per i diritti religiosi” il senatore repubblicano Jesse Helms, ora scomparso, che nella sua carriera ha detto no a qualsiasi legge sui diritti civili, diritti dei disabili, diritti degli omosessuali, diritti delle donne, aborto. Tutte le sue campagne elettorali, e i suoi interventi sui giornali, erano improntati al più bieco razzismo.

Una simpatica immagine di Wojtyla al balcone con Pinochet

Non ce l’ho con il Dalai Lama – non con lui personalmente – e non credo che la dittatura cinese in Tibet sia qualcosa di positivo. ma chi potrebbe considerare Ratzinger un’alternativa sensata a qualsiasi dittatura, qui in Occidente? Che credito avrebbe il pope di Russia in una sua possibile futura democratizzazione? Immaginate un Papa come presidente del Consiglio e, allo stesso tempo, presidente della Repubblica. Provate a pensare a come sarebbe la vita qui in Italia. E’ questo ciò che auguriamo al Tibet? Un ritorno al medioevo, al potere di una casta che si definisce casta e che invece abusa dei ragazzini?

Quello che mi fa arrabbiare è l’errore che l’Occidente continua a compiere ciclicamente. Da un lato, abbiamo le nazioni dominanti che perseguono ciecamente i proprio interessi – compresi quelli più beceri: ecco l’appoggio degli USA ai Talebani afgani contro i Russi nei primi anni ottanta (non mi stancherò mai di sottolineare che Rambo, nel terzo episodio, va a dare man forte proprio a loro, che nel film vengono tratteggiati come eroi della resistenza contro il crudele invasore), ecco l’appoggio degli USA a Saddam contro l’Iran, ecco l’appoggio degli USA ai vari Pinochet delle pseudo-repubbliche del Sud America. Dall’altro lato, invece, ecco l’idealismo ingenuo di chi sosteneva l’Ayatollah Komeini contro lo scià di Persia (un regnante fantoccio nelle mani degli Stati Uniti), per poi dover fare i conti con una delle più retrograde teocrazie degli ultimi cinquant’anni, ecco il supporto convinto a Fidel Castro, che si è poi rivelato un dittatore del genere un po’ più illuminato – ma pur sempre un dittatore -, ed ecco le festose accoglienze al Dalai Lama, quando arriva sugli arei pagati dalla CIA. La cosa bella è che, nel caso del Tibet, gli interessi economici dell’Occidente – infilare una spina appuntita proprio nel posteriore della Cina – si sono ben sposati con l’ingenua credulità di tutti quelli che pensano che buddismo sia necessariamente sinonimo di bontà.

Ma il buddismo, in Tibet, è stato il fondamento di una delle tante teocrazie che hanno schiacciato, schiacciano e schiacceranno le popolazioni di decine di paesi: anche i monaci non si sono sottratti alla regola che ogni volta che una casta di sacerdoti si impossessa del potere, iniziano i lutti per la povera gente. Gli strumenti per cavare gli occhi sono stati buttati via nel 1959, quando il Dalai Lama aveva 25 anni e si preparava a un futuro da re. Se ora il Dalai Lama è diverso, se non è buddista fino in fondo, lo dobbiamo ai suoi contatti con l’Occidente, che gli hanno fatto maturare alcune idee un pochino più tolleranti, e alla dittatura della Cina, che ha garantito istruzione, sanità, qualche diritto civile alla popolazione tibetana.

Ma allora, mi chiedo, nella lotta per l’indipendenza del Tibet, dobbiamo proprio puntare su una specie di papa buddista, al quale è riconosciuto lo status di divinità? Possibile che non ci sia davvero nulla di meglio?

(Per questo post, sono riconoscente a Micheal Parenti, e al suo lucidissimo articolo sul Tibet)

26 commenti Aggiungi il tuo

  1. Zio Scriba ha detto:

    Ti ringrazio per avermi aperto gli occhi (io ero uno degli ingenui), anche se in un certo senso con questa illuminazione mi hai reso un poco più “cattivo”: se prima odiavo i cinesi e amavo il buddismo tibetano, adesso mi stanno sulle balle entrambi…
    Le Teocrazie sono delle NECROcrazie: perchè basate su Dèi morti o idee morte, e perché solo morte portano alla povera gente e alla libera intelligenza dei singoli!

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  2. colorsontheroad ha detto:

    Grazie Paolo, un gran bel post…e mi sa che devo mettermi a studiare un po’, visto che ho capito di non avere le idee tanto chiare sull’argomento!

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  3. bortocal ha detto:

    Reblogged this on Cor-pus.

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  4. mauri53 ha detto:

    ecco un editoriale chiaro e molto ben fatto
    grazie

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Grazie, Maurizio, e grazie anche a Bortocal per il “repost”!
      A presto,
      Paolo

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  5. redpoz ha detto:

    Ho trovato il tuo post sul blog di bortocal, e l’ho letto con grande piacere. Se non altro perchè vi ritrovavo molte delle esperienze che avevo accumulato lavorando presso il tribunale cambogiano contro i Khmer Rossi.
    Proprio partendo da quella esperienza (che non citi solo per ragioni temporali), mi sento di consigiarti il magnifico testo di Alexander Laban-Hinton “why did they kill?” nel quale ritrova alcuni fondamentali collegamenti fra la dottrina buddhista e la violenza dei Khmer Rouges.
    Inoltre, come ben saprai, gli stessi KR godettero di un vasto appoggio delle masse contadine anche per “liberarsi” dallo “sfruttamento” da parte dei monaci buddhisti: infatti, Pol Pot e co. fecero una larga campagna contro i monaci che “vivevano alle spalle della popolazione senza lavorare”.
    (fra l’altro, all’incirca nello stesso periodo della rivoluzione culturale…).
    Non sapevo, fra l’altro delle dichiarazioni del Dalai Lama: come sempre, questi personaggi hanno anche lati tutt’altro che limpidi… quell’affermazione su Pinochet mi è particolarmente indigesta.

    Però va notato che il Dalai Lama ha anche rinunciato al potere temporale (se ho ben capito), difatti i tibetani in esilio hanno un governo laico…

    Condivido in toto le critiche all’occidente: o opportunista fino ad essere criminale, o stupido.
    In fondo, se i cinesi sono riusciti ad imporsi in Tibet una ragione deve esservi stata: devono essere apparsi almeno come il male minore…

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Ciao Redpoz, non conosco il libro di Laban-Hinton, ma ho visto che c’è anche in versione ebook, non escludo che sia il prossimo acquisto… In effetti, conosco poco la storia dei Khmer Rossi, e mi piacerebbe avere una visione un po’ più ampia della storia, della geopolitica di quella zona del mondo.
      Confermo che il Dalai Lama ha rinunciato al potere temporale – è una notizia recente, che ho appreso dopo aver scritto questo post, e che se da un lato fa aumentare di un po’ la considerazione che ho di lui, dall’altro non dimostra che l’Occidente è, tutto sommato, un buon antidoto alle teocrazie.
      Ma sono molto curioso di sapere di questa tua esperienza nei tribunali cambogiani… si può sapere di più? Mi pare che le cose ascoltate dalla viva voce di chi le ha vissute abbiano un sapore molto più buono…
      Intanto grazie per essere passato da queste parti!
      Paolo

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      1. redpoz ha detto:

        La storia dei Khmer Rossi è poco conosciuta ovunque, inclusa la Cambogia. Ed ognuno ne racconta la versione che gli fa più comodo…. quindi non è una sorpresa, né un problema.
        Diciamo solo che dal ’74 al ’79 hanno cercato di trasformare la Kampuchea in un regime comunista utopico agricolo facendo ogni sfacello immaginabile… Potrei parlartene per ore, ma un commento qui non mi sembra il luogo più adeguato (se non altro come spazio), quindi per il momento rinvio.
        Laban-Hinton affronta la questione dei “volenterosi carnefici” di Pol Pot da un approccio antropologico, ricercando delle ragioni più profonde che l’insufficiente ideologia comunista per spiegare i continui massacri. Un bel lavoro interdisciplinare.
        Intanto posso dirti qualcosa sul tribunale ECCC, anche se per evitare il trattato dovrò essere necessariamente stringato (ma sarò lieto di rispondere a tue domande-purtroppo tutti i miei post in merito sono morti con splinder): è un tribunale misto 50% cambogiano 50% ONU- in ogni organo, lingue incluse (creando un gran casino). Un sacco di influenze politiche cambogiane (molti alti ranghi erano implicati con Pol Pot….), corruzione e rallentamenti continui.
        Problemi enormi di prove, ad oltre 30 anni di distanza.
        Le decisioni sono un casino: 3 giudici khmer e 2 internazionali che devono dibattere su fatti vecchissimi, norme nuove (diritto penale internazionale), mille convenzioni ed un codice cambogiano del ’56. Oltre che sulle interpretazioni dei fatti (erano in guerra col Vietnam? da quanto? =si applica la convenzione di Ginevra?).
        Ah, e tutto questo lavoro nel caldo assurdo dei tropici (che non è secondario).
        Ma un gran lavoro per coinvolgere la popolazione e cercare di informarli sui fatti: sono invitati sempre alle udienze, e sono scene bellissime, gli impiegati viaggiano per tutto il paese per spiegare il loro lavoro.
        Il paese è ovviamente un casino peggio del tribunale. E sovraffollato di ONG ed org. int. per progetti di aiuto: occidentali ovunque nella capitale, un sacco di soldi rubati, sviluppo del tutto irregolare (vedi il traffico assurdo). Stato praticamente assente.
        I khmer sono un popolo bellissimo, che ha sofferto tantissimo ma mantengono una gentilezza che credo di non aver mai trovato altrove. Ed hanno una grande cultura…
        Spero di non essermi dilungato troppo e di averti dato almeno una piccola percezione.

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  6. Luca Luciani ha detto:

    … in Tibet i cinesi ci sono andati con l’esercito … lo hanno conquistato e non hanno ricevuto di certo la benevolenza della popolazione … altro che “se i cinesi sono riusciti ad imporsi in Tibet una ragione deve esservi stata: devono essere apparsi almeno come il male minore…” … il Tibet non aveva nulla che potesse assomigliare ad un agguerrito e numeroso esercito contemporaneo in grado di opporsi ad una INVASIONE MILITARE di CONQUISTA … e non certo per portare miglioramenti alla popolazione, ma per conquistare risorse, conoscenze, e posizioni geopolitiche migliori nello ‘scacchiere mondiale’ (così il confinante diretto della Cina è diventata l’India … vi dice nulla questo?). Detto questo, e ricordando che comunque il Dalai Lama non è ‘dio in terra’, ma ‘solo’ la reincarnazione di Buddha (nel Buddismo dio non esiste), che è un uomo che ha trovato -o, per gli scettici, ha pensato di aver trovato- una ‘via di liberazione’ filosofica e psico-fisica per tutti gli uomini, sono convinto anch’io che le pur imperfette ‘democrazie occidentali’ nel tempo influiscono positivamente (quindi anche nei confronti del buddismo tibetano) sulle culture religiose. Non così ha fatto e fa la dittatura comunista in genere, e cinese nel particolare che state trattando.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      CIao Luca, non c’è dubbio che la Cina abbia invaso il Tiber per tutelare i propri interessi, e che questa occupazione sia illegittima, e da condannare tout court. Tuttavia, questo non deve nascondere il fatto che prima della Cina in Tibet si viveva molto peggio (il che non significa che un popolo debba subire un’occupazione armata, ma solo che sarebbe un peccato se, insieme ai panni sporchi, finisse anche il bambino); che la teocrazia che governava quel paese era medioevale, e sotto certi aspetti persino barbarica; che l’occidente abbia dato appoggio incondizionato al Dalai Lama per motivi simili a quelli che hanno spinto la Cina ad invadere il Tibet – cioè sostanzialmente geopolitici; che il Dalai Lama che l’occidente immagina è una versione molto edulcorata del Dalai Lama vero, e di tutto quello che gli sta intorno.
      La mia speranza è: fuori la Cina dal Tibet (non so come, ma prima o poi spero succeda), e governo democratico (non teocratico) in Tibet.
      Grazie per aver condiviso il tuo parere!

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      1. Stefano ha detto:

        Come ci ha insegnato l’ Iraq/Irak, la “democrazia” non si esporta,sono convinto che ai tibetani non interessino queste presunte migliorie imposte da uno stato che comunque in materia di democrazia e diritti civili, è uno tra gli ultimi al mondo,mentre è tra i primi per condanne a morte e suicidi…Sono ignoranti i tibetani a farsi condizionare dalla religione? Lo sono come lo possono essere i croati o i ceceni,ma imporre la nostra “civiltà” è un errore madornale. E visto che si parla del Tibet degli anni ‘ 50, l’ Italia era forse uno stato civile fino agli anni ’80? Uno stato che si regge su bombe nei treni, nelle piazze,che abbatte aerei civili,che tortura brigatisti e studenti stranieri e italiani (storia molto recente durante il G8) non può essere considerato così civile. E’ solo un mio parere personale, ma noi come singoli possiamo criticare una teocrazia, ma come stato assolutamente no.

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  7. Grazia Bruschi ha detto:

    Reblogged this on IMAGEWARE and commented:
    interessante analisi – da non perdere

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  8. Jacopo Fedi ha detto:

    Interessante, grazie. Ci sono documenti fotografici, burocratici o altro da studiare o perlomeno consultate, che testimonino il regime teocratico dei Dalai Lama e le loro prassi?

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Ciao Jacopo,
      io partirei dalla bibliografia a corredo dell’articolo di Micheal Parenti. che cito alla fine del post. Per comodità, riporto nuovamente il link:
      http://www.michaelparenti.org/Tibet.html
      A presto,
      Paolo
      ps qualsiasi documento contrario è ben accetto!

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  9. argia77 ha detto:

    Sono una praticante del dharma, buddhista per intendersi. Credo proprio che il problema sia l’idealizzazione degli strumenti e dei percorsi. Naturalmente nessuna strada politica, religiosa, o atea può dirsi libera da violenza, conflitto, sopruso e schifezze varie. Basta ascoltare le testimonianze o scovare dati oggettivi per trovare del marcio ovunque e non salvare praticamente nulla delle esperienze umane. Le favolette ce le raccontiamo solo per comodità, per sentirci buoni o per convincerci maggiormente delle scelte fatte. Saluto con favore il pensiero critico e l’atteggiamento di chi non cade nei luoghi comuni, sperando che nessun* si senta chiamato fuori da meccanismi che sono comuni a tutte le persone.

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  10. mojtaba79 ha detto:

    “Un fatto: il Dalai Lama afferma che la Cina, durante e dopo l’invasione del Tibet, ha ucciso 1.200.000 persone; ma nel 1953, sei anni prima dell’invasione, secondo il censo (tibetano) c’erano 1.240.000 persone.”
    L’invasione cinese è del 50 e non del 60. E in 60 anni è possibile che i cinesi abbiano ammazzato un milione di tibetani non li hanno mica fatti fuori in un giorno.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Non ho la pretesa di scrivere fatti inconfutabili, e quindi mi fa solo piacere questo scambio di opinioni.
      L’invasione cinese è avvenuta in più “tranche”: iniziata nel 1950, con l’occupazione di una regione del Tibet, si è conclusa con l’occupazione integrale del 1959. Mentre l’occupazione del 1950 fu incruenta, in quella del 1959 morirono 65.000 persone (lo si può leggere in “L’ombra di Mao”, di Federico Rampini, Mondadori), e ne furono deportate 70.000. Da allora, non si sono verificati più episodi di sangue: se a te risulta che nei 60 anni successivi siano state uccise 1.135.000 persone, puoi citare la fonte?

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  11. mojtaba79 ha detto:

    E detto questo il Dalai Lama ha più volte detto che una volta tornato in Tibet non vorrà assumere alcun ruolo nel futuro governo tibetano. E nel 2011 ha rinunciato ai suoi poteri politici conferendoli tutti al primo ministro. Il ruolo nel governo tibetano in esilio ora del Dalai Lama è solamente spirituale, fare una contrapposizione tra dittatura e teocrazia ora per il tibet non è corretto.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      E’ corretto quello che dici. L’articolo era stato scritto prima delle affermazioni del Dalai Lama. Tuttavia, nei 50 anni precedenti, non ha mai affermato una cosa simile, e nonostante questo è stato sempre osannato da molte persone, forse inconsapevoli del vero progetto politico del Dalai Lama.
      Quanto alla contrapposizione (o paragone?) tra dittatura e teocrazia, non andrebbe fatta: spesso, infatti, le teocrazie sono molto più sanguinarie delle dittature.

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  12. provenzale ha detto:

    Il Tibet “adesso” con la Cina sta meglio di come stava, quando era indipendente 65 anni fa quanto a condizione femminile , istruzione , etc. ? Puo’ darsi . Che poi questo sia merito della Cina maoista mi sembra discutibile . Fino almeno a tutti gli anni 60 le condizioni di vita dei cinesi erano pessime ed ai limiti della sopravvivenza soprattutto nelle campagne Le carestie , mortali, erano eventi tutt’altro che infrequenti . Che quella Cina parlo di quella degli anni 50-60, abbia fatto progredire il Tibet lo trovo difficile da credere . L’invasione del Tibet negli anni 60 e’ stato tutt’altro che l’arivo di liberatori progrediti che hanno portato la civilizzazione. E’ stata semplicemente una invasione militare in chiave geostrategica . Poi sul fatto che gli americani si affezionino solo alle cause che gli fanno comodo ( Tibet ) e tacciano sui regimi criminali ( Arabia Saudita, Qatar ) loro alleati, questo si sa .

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  13. Honos Iemizzak ha detto:

    Michael Parenti? Quello che predica in tutti i suoi libri l’antiamericanismo e l’anticapitalismo? Premetto che non sono di parte e che gli Stati Uniti siano senza dubbio un paese molto contraddittorio, ma penso che questo signore, vista la faziosità dei suoi scritti, non possa essere preso troppo sul serio.

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  14. Carla ha detto:

    Vorrei sapere su quali basi lei ha condotto questa ricerca… Le prove visive ci sono? Oppure è un sentito dire di pessimo gusto?

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Di pessimo gusto in che senso? E’ perché il risultato non le piace?

      Comunque il punto di partenza è questo: http://www.michaelparenti.org/Tibet.html

      Poi, se ha più pazienza, può comodamente consultare queste fonti:

      Mark Juergensmeyer, Terror in the Mind of God, (University of California Press, 2000), 6, 112-113, 157.
      Kyong-Hwa Seok, “Korean Monk Gangs Battle for Temple Turf,” San Francisco Examiner, 3 December 1998.
      Los Angeles Times, February 25, 2006.
      Dalai Lama quoted in Donald Lopez Jr., Prisoners of Shangri-La: Tibetan Buddhism and the West (Chicago and London: Chicago University Press, 1998), 205.
      Erik D. Curren, Buddha’s Not Smiling: Uncovering Corruption at the Heart of Tibetan Buddhism Today (Alaya Press 2005), 41.
      Stuart Gelder and Roma Gelder, The Timely Rain: Travels in New Tibet (Monthly Review Press, 1964), 119, 123; and Melvyn C. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon: China, Tibet, and the Dalai Lama (University of California Press, 1995), 6-16.
      Curren, Buddha’s Not Smiling, 50.
      Stephen Bachelor, “Letting Daylight into Magic: The Life and Times of Dorje Shugden,” Tricycle: The Buddhist Review, 7, Spring 1998. Bachelor discusses the sectarian fanaticism and doctrinal clashes that ill fit the Western portrait of Buddhism as a non-dogmatic and tolerant tradition.
      Dhoring Tenzin Paljor, Autobiography, cited in Curren, Buddha’s Not Smiling, 8.
      Pradyumna P. Karan, The Changing Face of Tibet: The Impact of Chinese Communist Ideology on the Landscape (Lexington, Kentucky: University Press of Kentucky, 1976), 64.
      See Gary Wilson’s report in Worker’s World, 6 February 1997.
      Gelder and Gelder, The Timely Rain, 62 and 174.
      As skeptically noted by Lopez, Prisoners of Shangri-La, 9.
      Melvyn Goldstein, William Siebenschuh, and Tashì-Tsering, The Struggle for Modern Tibet: The Autobiography of Tashì-Tsering (Armonk, N.Y.: M.E. Sharpe, 1997).
      Gelder and Gelder, The Timely Rain, 110.
      Melvyn C. Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951 (Berkeley: University of California Press, 1989), 5 and passim.
      Anna Louise Strong, Tibetan Interviews (Peking: New World Press, 1959), 15, 19-21, 24.
      Quoted in Strong, Tibetan Interviews, 25.
      Strong, Tibetan Interviews, 31.
      Gelder and Gelder, The Timely Rain, 175-176; and Strong, Tibetan Interviews, 25-26.
      Gelder and Gelder, The Timely Rain, 113.
      A. Tom Grunfeld, The Making of Modern Tibet rev. ed. (Armonk, N.Y. and London: 1996), 9 and 7-33 for a general discussion of feudal Tibet; see also Felix Greene, A Curtain of Ignorance (Garden City, N.Y.: Doubleday, 1961), 241-249; Goldstein, A History of Modern Tibet, 3-5; and Lopez, Prisoners of Shangri-La, passim.
      Strong, Tibetan Interviews, 91-96.
      Waddell, Landon, O’Connor, and Chapman are quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123-125.
      Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 52.
      Heinrich Harrer, Return to Tibet (New York: Schocken, 1985), 29.
      See Kenneth Conboy and James Morrison, The CIA’s Secret War in Tibet (Lawrence, Kansas: University of Kansas Press, 2002); and William Leary, “Secret Mission to Tibet,” Air & Space, December 1997/January 1998.
      On the CIA’s links to the Dalai Lama and his family and entourage, see Loren Coleman, Tom Slick and the Search for the Yeti (London: Faber and Faber, 1989).
      Leary, “Secret Mission to Tibet.”
      Hugh Deane, “The Cold War in Tibet,” CovertAction Quarterly (Winter 1987).
      George Ginsburg and Michael Mathos Communist China and Tibet (1964), quoted in Deane, “The Cold War in Tibet.” Deane notes that author Bina Roy reached a similar conclusion.
      See Greene, A Curtain of Ignorance, 248 and passim; and Grunfeld, The Making of Modern Tibet, passim.
      Harrer, Return to Tibet, 54.
      Karan, The Changing Face of Tibet, 36-38, 41, 57-58; London Times, 4 July 1966.
      Gelder and Gelder, The Timely Rain, 29 and 47-48.
      Tendzin Choegyal, “The Truth about Tibet,” Imprimis (publication of Hillsdale College, Michigan), April 1999.
      Karan, The Changing Face of Tibet, 52-53.
      Elaine Kurtenbach, Associate Press report, 12 February 1998.
      Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 47-48.
      Curren, Buddha’s Not Smiling, 8.
      San Francisco Chonicle, 9 January 2007.
      Report by the International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril (Berkeley Calif.: 2001), passim.
      International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril, 66-68, 98.
      im Mann, “CIA Gave Aid to Tibetan Exiles in ’60s, Files Show,” Los Angeles Times, 15 September 1998; and New York Times, 1 October, 1998.
      News & Observer, 6 September 1995, cited in Lopez, Prisoners of Shangri-La, 3.
      Heather Cottin, “George Soros, Imperial Wizard,” CovertAction Quarterly no. 74 (Fall 2002).
      Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 51.
      Tendzin Choegyal, “The Truth about Tibet.”
      The Dalai Lama in Marianne Dresser (ed.), Beyond Dogma: Dialogues and Discourses (Berkeley, Calif.: North Atlantic Books, 1996)
      These comments are from a book of the Dalai Lama’s writings quoted in Nikolai Thyssen, “Oceaner af onkel Tom,” Dagbladet Information, 29 December 2003, (translated for me by Julius Wilm). Thyssen’s review (in Danish) can be found at http://www.information.dk/Indgang/VisArkiv.dna?pArtNo=20031229154141.txt.
      “A Global Call for Human Rights in the Workplace,” New York Times, 6 December 2005.
      San Francisco Chronicle, 14 January 2007.
      San Francisco Chronicle, 5 November 2005.
      Times of India 13 October 2000; Samantha Conti’s report, Reuter, 17 June 1994; Amitabh Pal, “The Dalai Lama Interview,” Progressive, January 2006.
      The Gelders draw this comparison, The Timely Rain, 64.
      Michael Parenti, The Culture Struggle (Seven Stories, 2006).
      John Pomfret, “Tibet Caught in China’s Web,” Washington Post, 23 July 1999.
      Curren, Buddha’s Not Smiling, 3.
      Curren, Buddha’s Not Smiling, 13 and 138.
      Curren, Buddha’s Not Smiling, 21.
      Curren, Buddha’s Not Smiling, passim. For books that are favorable toward the Karmapa appointed by the Dalai Lama’s faction, see Lea Terhune, Karmapa of Tibet: The Politics of Reincarnation (Wisdom Publications, 2004); Gaby Naher, Wrestling the Dragon (Rider 2004); Mick Brown, The Dance of 17 Lives (Bloomsbury 2004).
      Erik Curren, “Not So Easy to Say Who is Karmapa,” correspondence, 22 August 2005, http://www.buddhistchannel.tv/index.php?id=22.1577,0,0,1,0.
      Kim Lewis, correspondence to me, 15 July 2004.
      Kim Lewis, correspondence to me, 16 July 2004.
      Ma Jian, Stick Out Your Tongue (Farrar, Straus & Giroux, 2006).
      See the PBS documentary, China from the Inside, January 2007, KQED.PBS.org/kqed/chinanside.
      San Francisco Chronicle, 9 January 2007.
      “China: Global Warming to Cause Food Shortages,” People’s Weekly World, 13 January 2007

      saluti

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