Le bolle

il

Il venerdì, a pranzo, ormai c’è questa abitudine: andare a mangiare un panino da Nando. Nando è, assieme a sua moglie Paola, il proprietario di un bar un po’ decaduto, nella prima periferia di Padova, in una zona che di sera è frequentata da battone, guardie giurate, tossici in cerca di conforto, e che durante il giorno, invece, ci vanno quelli che se ne fregano delle belle maniere, dell’eleganza sempre uguale dei bar pseudobusiness – cameriere con l’orecchino sul naso e l’accento di Campagna Lupia, insalatona a sette euro, scontrino mai battuto -, e che preferiscono, invece, la sana sostanza di un panino farcito con porchetta, melanzane, salsa piccante e tabasco. Ci andrei tutti i giorni, se la mia panza me lo consentisse; mi accontento del venerdì, con i colleghi. E’ una piccola liberazione – un presagio di weekend. Ieri, che era appunto venerdì, oltre a mangiare un panino (con le lacrime agli occhi per la commozione), ho bevuto due birre; e poiché, assieme al caffè Nando ci porta sempre una bottiglia di Sambuca, alle due ero praticamente ubriaco.

Giovedì sera ho portato i bambini alle giostre. Avrei potuto fare finta di niente – sono abbastanza piccoli da non sapere che in giugno, in Prato della Valle, arrivano gli autoscontri, e i dischi volanti, e la casa delle streghe – ma poi ho pensato a quando ero piccolo, e mio padre mi ci portava – ho rivissuto quei ricordi, così nitidi, così vividi, così felici (mi pare di aver letto da qualche parte che quelli del Cancro non perdono mai alcun ricordo), e alla fine ho deciso di essere un buon padre: alle otto li ho caricati in macchina e siamo partiti.

Il mondo delle giostre vive in un universo parallelo, fatto di zucchero filato, sirene e campanelle, fumi, luci, tagadà, compagnie scompagnate di tredicenni (bambini con i baffi, bambine con le tette), piadine, bulletti, macchine per misurare la potenza del pugno, truzzi tatuati orecchinati palestrati che camminano come se fossero Marlon Brando, e tante piccole famiglie che guardano i loro bambini giocare. C’è qualcosa di teatrale, di posticcio, nelle giostre – un sapore di plastica colorata, di rumori fuori misura, di piaceri così semplici da essere grossolani: non è per questo che i nostri figli amano tanto andarci?

Prima di entrare abbiamo fissato un budget e, una volta tanto, siamo riusciti a non sforare. Rispetto agli altri anni, c’era una sola novità: una piscina gonfiabile piena di acqua sopra la quale rotolavano bolle di plastica di due metri di diametro, dentro alle quali vengono infilati i bambini: poi, galleggiando sull’acqua, i piccoli cercano di correre dentro a quella palla trasparente, e si scontrano tra di loro, cadono, e non si fanno mai male. Dopo qualche minuto di attesa, dentro a quelle bolle c’erano i miei figli.

Da Nando, a pranzo, c’è un’umanità molto varia: una cicciona mezza pazza, una collega con i capelli bianchi, con la quale non ho mai scambiato una parola, che prende sempre una tazza di tè, e poi legge degli appunti da un grande quadernone, ex-colleghi di tre o quattro aziende fa che continuo a salutare, bambini cinesi che passano a prendersi un panino prima di tornare a casa, alcuni marocchini che parlano sottovoce di qualcosa che non si può sapere. E ieri, anche una donna con un bambino malato. L’avevo vista altre volte: il piccolo avrà tre o quattro anni, ed è completamente giallo – anche la sclera degli occhi; questa volta aveva una mascherina sul viso, di quelle verdi, da allergici, e con un ditino continuava a grattarsi l’orecchio destro, forse perché il filo gli dava fastidio. Sul naso, dove la mascherina finisce, c’era un cerottino, per evitare che l’elastico gli facesse male: da quanto tempo sta portando quella protezione? La madre è piccolina, cicciottella, e ha uno sguardo un po’ smarrito, come di chi stia vivendo una sofferenza che va oltre la propria capacità di comprensione – una rassegnazione vagamente inespressiva; con lei, spesso c’è un signore che, a occhio, dovrebbe essere suo padre  – il padre di lei. Il bambino non parla: si guarda intorno, con uno sguardo vivace, ma non sorride mai. Sembra che stia cercando qualcosa. Ieri, continuava a grattarsi le braccia – punture di zanzare rosse e scure. Io ero proprio davanti a loro, con la sambuca in mano. Era  venerdì, avevo mangiato il panino, ero ubriaco, e il cielo continuava a oscillare indeciso tra il bel tempo e un mostruoso temporale: ero dunque vulnerabile, e privo di qualsiasi difesa.

Le giostre piacciono perché sorprendono. In questi giorni sto leggendo un libro sul rapporto tra la natura (o la Natura) e l’uomo. La Scienza, e la sua nonna, la signora Magia, si ponevano come scopo quello di realizzare qualcosa che apparentemente fosse contro le leggi naturali. Le giostre fanno lo stesso: si vola, si cade, si salta, si gira, si prende paura, e non ci si fa mai male. Anche i giochi più semplici funzionano così: i tappeti dove si salta, ad esempio, o lo scivolo enorme dal quale si scende a tutta velocità. Le bolle di plastica trasparente con i bambini dentro consentono di camminare sull’acqua; ti permettono di cadere senza farsi male; e, soprattutto, ti lasciano guardare il mondo con la certezza che questo non ti farà mai soffrire.

E mentre ero da Nando, ieri, a pranzo, con la sambuca in mano, il panino nella pancia, e le piacevoli chiacchiere tra colleghi nelle orecchie, io guardavo quel bambino giallo – giallo da chissà quanto tempo, e con chissà quale futuro – quel bambino che poteva essere mio figlio, il mio Jurij, il mio Matija – a casa che aspettano un padre impotente, incapace di salvarli – e guardavo la mamma, alla quale tutte le leggi della natura imporranno di amare sempre quel figlio sfortunato – e poi tornavo a guardare gli occhi del bambino, e mi è sembrato che fosse piccolo, e che allo stesso tempo fosse già vecchio, come se ne avesse viste troppe per poter mantenere una qualche forma di ingenuità. Il dolore è una pialla che toglie la speranza anche ai progetti più banali: cosa faremo a Natale? Assomigliava, quel piccolino, al padre di mia moglie, disteso a letto, con gli occhi azzurri che guardano fuori dalla finestra, in attesa: sono occhi di un uomo diventato improvvisamente vecchio a 65 anni, occhi che capiscono, e sono occhi di un animale ferito, braccato, pieni di paura, che cercano un’impossibile salvezza dal proprio carnefice.

Alle due, il bambino, la mamma e il nonno se ne sono andati, silenziosamente. Io ho finito la sambuca, ho pagato il conto, sono tornato al lavoro, e poi sono andato a casa, come tutti i giorni, ma non c’è mai stato un momento in cui io sia riuscito a scappare a quel dolore implacabile, feroce, e impossibile da eludere – perché quel bambino esiste, e non sarà mai felice, e il padre di mia moglie esiste, e non si può fare più nulla – e mi sono sentito piegato, ferito, umiliato dal desiderio straziante di avere una bolla trasparente tutta mia. Di entrarci dentro. Di stare là, a guardare il mondo – un mondo silenzioso e incapace di farmi male.

17 commenti Aggiungi il tuo

  1. Nicoletta ha detto:

    Se tutti noi avessimo la forza di parlare delle nostre pene, come fai tu, il mondo sarebbe sicuramente un posto migliore, con meno rancore e minor accidia.
    Poi, se fossimo in grado di farlo con la tua stessa arte, anche le nostre librerie migliorerebbero.
    Complimenti, di cuore!

    "Mi piace"

    1. Paolo Zardi ha detto:

      Grazie, cara Nicoletta!

      "Mi piace"

  2. Sparisego ha detto:

    Si, molto bello e toccante.
    Io il piu’ delle volte, sto dalla parte inversa di quegli occhi. Vedo la gente che mi osserva, che mi scruta.
    E ho dedicato una poesia, per quanto poco bella, a chi è come quel bambino.
    http://troppeparole.wordpress.com/2012/06/08/amato-fratello-mio/
    L’aridita’ dei nostri sentimenti, in questo secolo, è devastante, piu’ di una malattia rara.
    Complimenti per lo scritto, davvero affascinante!

    "Mi piace"

    1. Paolo Zardi ha detto:

      Ho letto la poesia – molto intensa, e molto dura – come uno schiaffo in faccia….

      "Mi piace"

  3. Zio Scriba ha detto:

    Io riesco a rifugiarmi spesso, in una bella bolla colorata, ma poi il mondo diventa spillo e me la fa scoppiare.
    Davvero toccante il tuo pezzo, e come sempre scritto in maniera divina.
    Ti abbraccio forte, mio caro Amico. (E bentornato, anche: ti ho scritto sei giorni fa, se non ho perso il conto, e cominciavo a preoccuparmi… :D)

    "Mi piace"

    1. Paolo Zardi ha detto:

      Eccomi, scusa l’assenza! Il mondo è acuminato – l’unica salvezza è far finta che assomigli al nostro cuore…

      "Mi piace"

  4. mauri53 ha detto:

    Da Nando tu assisti allo scorrere della vita ..se hai occhi attenti ..avrai sempre personaggi da descrivere ed emozioni da condividere
    bello il tuo racconto
    un sorriso

    "Mi piace"

    1. Paolo Zardi ha detto:

      Caro Maurizio, sì, la vita scorre nei posti più impensati…
      Un abbraccio!

      "Mi piace"

  5. Erika ha detto:

    Bellissimo Paolo.

    "Mi piace"

    1. Paolo Zardi ha detto:

      grazie, cara Erika…

      "Mi piace"

  6. Stefania ha detto:

    Grazie per questo scritto toccante che arriva al cuore…
    Stefania

    "Mi piace"

  7. colorsontheroad ha detto:

    Vorrei provare anch’io a chiudermi in una bolla trasperente, ma temo che non sia sufficiente a proteggermi dalla fragilità del cuore. Buona domenica Paolo

    "Mi piace"

    1. Paolo Zardi ha detto:

      Vivere richiede l’adesione a una specie di patto di non belligeranza con la realtà: noi fingiamo che non esistano la morte, il dolore, la fine, e lei, in cambia, ci consente di cullarci per un po’ in questa illusione….
      Buon weekend, cara Giorgia!

      "Mi piace"

  8. Stefania ha detto:

    Quelle bolle le ho viste anche io ma non avrei reso in maniera perfetta come hai fatto tu il desiderio di starci dentro, protetta dal mondo e dai suoi dolori inevitabili…Il Cancro è un sentimentale, legatissimo al passato, alla famiglia, agli affetti…Bacio

    "Mi piace"

    1. Paolo Zardi ha detto:

      Questo post è uscito anche sul blog di Vicolo Cannery, con una bellissima foto: http://www.vicolocannery.it/wp-content/uploads/2012/06/Lennart-Nilsson-Life-e1339541713232.jpg
      che secondo me spiega tutto…
      Un abbraccio!

      "Mi piace"

  9. Paolo ha detto:

    Se non ci fosse tutto il sentimento forte che esce dalle tue parole, sarebbe uno scritto esemplare per spiegare perché gli antichi romani dicevano: “In vino veritas” .

    Il prossimo venerdì per il panino da Nando saremo lì con te!

    "Mi piace"

    1. Paolo Zardi ha detto:

      Caro Paolo, ci conto!!

      "Mi piace"

Se vuoi dire la tua...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.