Mangiarsi Dio

Sabato scorso abbiamo festeggiato i 40 anni di matrimonio dei miei zii. Prima di dedicarci al pranzo, che si è tenuto in un bellissimo rifugio sopra Asiago, ci siamo trovati in una piccola chiesetta dalle parti di Roana – una ventina di posti in tutto. Celebrava la cerimonia don Paolo, cugino di mia madre, che, tra matrimoni e funerali, ha accompagnato tutta la storia della nostra famiglia. Sono stati letti passi del Vangelo, il più toccante dei quali è stato quello che parla della casa costruita sulla sabbia (destinata a crollare) e della casa costruita sulla roccia (che invece resiste ad ogni tempesta). Quando questo brano viene letto durante il matrimonio, poco prima dello scambio degli anelli, si tratta soprattutto di un augurio; dopo 40 anni, ha mostrato tutta la sua forza evocativa: i miei zii hanno costruito sul solido, e le figlie, e il nipotino che saltellava per la chiesetta, e una pancia all’ottavo mese, sono la prova che l’amore, accompagnato dalla tenerezza e dalla solidarietà, è qualcosa sulla quale vale sempre la pena di investire.

La messa è stata breve. A differenza di altre volte, ho deciso di non partecipare attivamente alla sua esecuzione: non ho detto amen quando lo si doveva dire, non ho confessato a Dio onnipotente e ai miei fratelli la mia grandissima colpa, e non ho chiesto al Signore di ascoltarci: non era una protesta, la mia, ma una forma di rispetto. Di rispetto per me, soprattutto (d’altra parte, se fossi musulmano, chi tra i miei parenti seguirebbe una cerimonia religiosa che per loro non significa nulla?). In ogni caso, per quanto breve sia stata la cerimonia, non si è rinunciato all’eucarestia. Joseph Campbell, forse il più grande studioso di religioni e miti (i secondi si distinguono dai primi per il fatto che ai miti ci credono gli altri), sosteneva che in quasi tutte le religioni primitive è presente il deicidio, cioè l’assassinio del proprio Dio, seguito dal rito di mangiarselo. Il Cattolicesimo, che nei suoi primi due o trecento anni è riuscito a tirare su tutto quello che di sacro ha trovato sulla sua strada – mito della vergine, discesa del Dio in terra, gerarchia di santi protettori, festa del solstizio d’inverno -, non ha rinunciato neanche a questo aspetto un po’ cruento, ma decisamente suggestivo: gli uomini di tutte le epoche e latitudini, a quanto pare trovano un particolare piacere nell’assunzione delle divinità per via orale. E sebbene molti cattolici credano che l’eucarestia sia un modo un po’ folkloristico per ricordare l’ultima cena di Gesù, per la Chiesa, quella ufficiale, dentro alla particola – dentro a ogni particola – c’è proprio il corpo di Cristo: non la sua idea, ma la sua sostanza. Questo fenomeno prende il nome di transustanziazione, e il suo dogma è stato uno dei principali motivi per i quali la Chiesa ha fatto di tutto per opporsi alla scienza che studiava la materia da un punto di vista oggettivo: sotto sotto sapeva che, scomponendo il pane in particelle sempre più piccole, alla fine non si sarebbero trovate tracce di Dio (ora, possiamo dire che invece avevano ragione loro: l’ostia, infatti, pullula di bosoni). Così, dopo il “oh Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa…”, i pochi credenti che sono ancora rimasti nella mia famiglia, si sono avvicinati a don Paolo per ricevere il corpo di Cristo. Tra questi, anche un mio nipote di dieci anni, educato secondo le prescrizioni della Chiesa Apostolica Romana; accanto a lui, fuori dal mio controllo, c’era anche mio figlio Jurij, di otto anni e mezzo che, a voler essere pignoli, non solo non ha mai fatto la comunione, e non solo non si è mai confessato, ma non ha ricevuto neppure il battesimo (a meno che non gli sia stato somministrato di nascosto da qualche cattolico). Lui, però, incurante di tutto, e senza battere ciglio, si è avvicinato al prete e ha mangiato Dio. Con la particola in bocca, si è girato verso di noi, che eravamo due file dietro, facendoci segno con la mano per dire: cos’è? Noi gli abbiamo detto di non preoccuparsi. “Mastica bene, mi raccomando”, gli ha sussurrato mia moglie (lui infatti tenderebbe sempre a buttare giù tutto, come una grondaia). Poco dopo, l’ho sgamato mentre, con un dito, si toglieva i resti mollicci della particola da un molare cavo, uno dei residui della dentizione da latte.

Il problema è stato dopo. Alla fine della cerimonia, Jurij si è avvicinato a noi con la faccia praticamente verde. “Che succede?” gli ho chiesto. “Sto male”, mi ha detto. “Male come?”. “Nausea”. Sembrava sul punto di svenire. O di convertirsi. O di cadere in preda a convulsioni, come nei peggiori film di esorcismi. Il suo corpo si stava ribellando alla presenza di Dio? O Dio ci stava punendo per la nostra tracotanza? Gli ho messo una mano sulla spalla e l’ho portato fuori. Gli veniva da piangere. L’ho abbracciato. Povero piccolo, ho pensato: quale lotta si sta combattendo nel tuo corpo? Ma dopo un po’, si è divincolato dal mio abbraccio, e ha mollato un rutto. Poi mi ha guardato, e con un sorriso mi ha detto: “Passato”. E ora mi domando: ma da un punto di vista teologico, quel rutto, cosa mi sta a significare?

21 commenti Aggiungi il tuo

  1. Renato ha detto:

    Sto cercando di raccogliere tutti i tuoi scritti che hanno a che fare con il cattolicesimo. Sono molti, e non mi sto applicando abbastanza, ma prima o poi finirò il lavoro e potrò avere il mio personale “Catechismo secondo Paolo Z.”.
    Non hai idea quanto la tua visione assolutamente esterna, dura, irriverente ma rispettosa (e proveniente da un uomo di buona volontà) mi sia di grande aiuto: cerco di grattare via la crosta ed arrivare al cuore, alla roccia su cui cercare di costruire.
    Grazie!

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Caro Renato, come ho avuto modo di dirti tante volte, esiste una reciprocità in questo tuo atteggiamento: tu, per me, rappresenti il prototipo del cristiano come potrebbe, e forse dovrebbe, essere. Dubbioso, aperto al confronto, animato da un sentimento vero e che può essere condiviso. Se io fossi un credente, vorrei assomigliare a te!

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  2. Zio Scriba ha detto:

    Beata Irriverenza: questo pezzo è una goduria, e il bello è che riesce a essere delicatissimo e rispettoso pur contenendo decine di cose che farebbero inorridire un bigotto, compreso quell’apparentemente innocuo “masticare bene”… 🙂

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Fortunatamente, viviamo in quella parte del mondo nella quale la “satira” verso le cose sacre, che sia più o meno irriverente, viene tollerata… E anche se ho il sospetto che per la Chiesa ufficiale questa tolleranza sia una sorta di vulnus della nostra società occidentale, tendenzialmente relativista, sono contento di vivere sotto il Papa, e non sotto qualche altra casta molto più truculenta e permalosa! 😉

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  3. morena fanti ha detto:

    Non so se sia il caso, ma sto sorridendo.
    Anch’io non partecipo più attivamente alla messa, quando mi tocca presenziare. Mi sembrerebbe incoerente.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Eh sì.. mi limito al segno della croce all’inizio e alla fine – è un modo per salutare.
      Tempo fa so che un prete di Padova aveva invitato tutti a fare la comunione, anche i bambini piccoli e gli atei – un modo per entrare in unione con la comunità, che forse era lo spirito originario di questo gesto… mangiare insieme ha uno scopo ben preciso. Ricordo che nel 1977, io e la mia famiglia eravamo andati nella comunità di Bose, invitati da una ragazza del quale mio padre era stato relatore, e che era andata a vivere là. La particola era un pezzo di focaccia, e la cosa mi era piaciuta…

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  4. Marco ha detto:

    Sono certo che zia Flannery (O’Connor: e chi altrimenti?) da un episodio del genere tirerebbe fuori un racconto meraviglioso.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Il raggiungimento della grazia… mi fai venire in mente un suo racconto nel quale una donna viene insultata con l’appellativo di “scrofa” e questo la conduce a comprendere il suo posto (o meglio: la sua lontananza) nelle schiera di chi sale verso il cielo… Grazie avermi fatto pensare a zia Flannery! 😉

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      1. Marco ha detto:

        Il racconto dovrebbe essere “Rivelazione”.

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    2. Paolo Zardi ha detto:

      ps a dire il vero, però, avevo pensato proprio alla O’Connor, mentre parlavo dell’eucarestia: in “Sola a presidiare la fortezza”, se non ricordo male, afferma più volte che è proprio l’eucarestia il nodo centrale della chiesa Cattolica…

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  5. Marco ha detto:

    Forse è l’episodio della cena alla quale è invitata, e per tutta la sera lei non apre bocca. Finché la padrona di casa afferma che l’eucaristia è solo un simbolo, e lei ribatte: “Be’, se è un simbolo, che vada al diavolo!”.

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  6. arianna ha detto:

    le ripeto che non sono interesssata! e se non la smette di mandare messaggi comincierò davvero ad arrabbiarmi!

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  7. Paolo ha detto:

    Il passaggio tra sacro e profano corre sul filo, quello tra inutilmente blasfemo e ironicamente aperto alla riflessione è meno di un soffio. Esercizio non facile di interpretazione della realtà … una scelta coraggiosa e riuscita.

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  8. Stefania ha detto:

    Esistono molti modi diversi di avvicinarsi a Dio, chi può dire quale sia quello giusto? Meglio un problema digestivo-intestinale che una illuminazione religiosa, a otto anni, direi… Il passo sulla casa costruita sulla roccia è stato letto anche al mio matrimonio, lo trovo bellissimo. Sempre arguto, attento, aperto, inaspettato lo Zardi, complimenti!

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  9. dhr ha detto:

    >transustanziazione, e il suo dogma è stato uno dei principali motivi per i quali la Chiesa ha fatto di tutto per opporsi alla scienza che studiava la materia da un punto di vista oggettivo: sotto sotto sapeva che, scomponendo il pane in particelle sempre più piccole, alla fine non si sarebbero trovate tracce di Dio

    No, scusa Paolo, qui ti devo contraddire: non so dove hai preso questa informazione, ma è priva di fondamento. Anzi, la Chiesa – già dal Medioevo – ha condannato posizioni che sostenevano un cambiamento “fisico” del pane consacrato. Anche dopo la “transustanziazione” il pane, sul piano organolettico, rimane pane e basta. L’unico punto su cui la Chiesa si sia opposta all’esame della materia, fino al Rinascimento, era la dissezione dei cadaveri, tant’è che Michelangelo e Leonardo lo facevano di nascosto a scopo di studio.

    >Noi gli abbiamo detto di non preoccuparsi. “Mastica bene, mi raccomando”

    Ecco, QUESTO – almeno fino a una cinquantina di anni fa – era considerato sacrilegio 😉

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Ciao Dario, non sono un teologo (e quindi mi piace scoprire cose nuove). Su questo punto, al di là di qualche reminescenza di gioventù, so poco, ma su Wikipedia, trovo questo:

      « con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Suo Sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione. »
      (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1376)

      E’ tratto dal catechismo uscito dal Concilio di Trento, 1551. Non si parla di conversione di sostanze? Naturalmente, stiamo parlando di un mondo aristotelico, dove ancora si distinguevano gli “accidenti” dalla “forma sostanziale”… ma qui la Chiesa dice che, sebbene da fuori “sembri” pane, la sua forma sostanziale è corpo e sangue di Cristo. O sbaglio?

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      1. dhr ha detto:

        Di solito non mi “degno” di rispondere a chi cita Wikipedia, ma per te faccio un’eccezione 😉

        Quanto alla “transustanziazione”, la teologia medievale, appunto in termini aristotelici, affermava che la sostanza muta ma gli accidenti (colore, sapore, composizione chimica diremmo noi ecc.) restano identici. Per cui sarebbe inutile e ridicolo cercare “sangue” o “Dio” al microscopio dopo che il pane è stato consacrato.

        Però assumendo in sé l’ostia, effettivamente, a livello spirituale, profondo, ecc., si entra in “comunione” con Dio stesso. Quel pane è il Corpo di Cristo – ma il corpo “sacramentale”, non il corpo fisico, quello che camminava per la Galilea duemila anni fa.
        Semplificando, nell’ostia è presente Cristo, il Cristo glorificato che è Dio, oltre le barriere delo spazio, del tempo, della materia. Ed entrando in contatto con lui tramite il pane consacrato si entra in contatto con la totalità della realtà di Cristo (corpo, sangue, anima…) ma per opera dello Spirito Santo, non per opera dei succhi gastrici…

        La cultura moderna fa fatica a rientrare in questo tipo di mentalità, per cui si tende a leggerlo come “valore simbolico”. Anticamente invece era un modo “normale” di entrare in contatto diretto con il Divino, come nelle religioni misteriche – o anche nel “memoriale” del culto ebraico, per cui l’evento narrato nella Bibbia diventa VERO qui OGGI, mentre lo si celebra.

        Però – come ripete l’autore che sto traducendo, Raimon Panikkar – se si prova a esprimere in termini di “logos” il “mythos”, lo si uccide.

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  10. Marina Salomone ha detto:

    sta a significare che aveva espulso finalmente quella particella di spirito che aveva “illegalmente” assunto 😉
    ah ah trovo molto ragionevoli tutte queste considerazioni (inoltre mi piace che tu abbia citato Campbell)…la mia risposta era solo per battuta!!!

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  11. carloesse ha detto:

    Gran bel post e molto interessante la discussione che ne è seguita. Peccato non avervi partecipato quando era ancora “calda” (Campbell, miti, religioni, tolleranza e intolleranza sono inviti a nozze), ma ho avuto problemi con l’adsl di casa per una ventina di giorni (risolti solo ieri) e praticamente la mia frequentazione di blog si era ridotta al minimo (rare pause in ufficio).

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  12. glencoe ha detto:

    L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.

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  13. glencoe ha detto:

    seguo un piccolo corso di criminologia e durante l’ultima lezione l’insegnante ha trattato il tema del cannibalismo; le lezioni sono molto corte io ci ho pensato un pò e le ho scritto una mail citando il fatto che Crono si mangiava i figli, la Sfinge ingoiava quelli che non rispondevano in modo esatto al quesito, e il fedeleingoia il dio non ho ricevuto al momento alcuna controdeduzione

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