Dopo le chiacchierate con Chiara Fattori (qui), che dirige la casa editrice Intermezzi, e con Anna Mioni (qui e qui), traduttrice professionista, iniziamo una lunga e proficua chiacchierata con Giacomo Brunoro, uno dei fondatori della casa editrice digitale LA Case Books, e che, tra le altre cose, ha contribuito a far crescere il movimento letterario e culturale Sugarpulp, della cui relativa associazione è stato anche presidente.
Lo scopo di queste chiacchierate – lo ricordo – è provare a delineare un paesaggio dell’editoria contemporanea in vista del Salone del Libro di Torino 2013, ascoltando il parere diretto di alcun dei soggetti coinvolti nella produzione di quell’oggetto che chiamiamo “libro” – qualcosa che, nonostante il parere di qualcuno (qualcuno che peraltro stimo), è ben diverso dalle colle epossidiche. Con Giacomo Brunoro affrontiamo il tema dell’editoria digitale “da dentro”: sono convinto che raramente si sia affrontata con tanta chiarezza questo tema, sfatando miti e delineando un possibile percorso alternativo non solo per l’editoria, ma anche per l’evoluzione dei contenuti.
La chiacchierata è suddivisa in due parti – la prima oggi, giovedì 9 maggio, e la seconda domani, venerdì 10 maggio. Durante il fine settimana torneremo a parlare di traduzioni, mentre nei giorni immediatamente prima dell’inizio del Salone (che, lo ricordo, si svolgerà al Lingotto di Torino tra giovedì 16 maggio e lunedì 20 maggio) parleremo con un’altra casa editrice, con una scrittrice e un lettore particolarmente forte…
Grafemi: Tu hai contribuito a fondare editrice digitale, LA Case. Prima di iniziare con le domande sull’editoria digitale, mi piacerebbe che tu mi raccontassi come è nata la casa editrice, con quali obiettivi – usando dei termini da “azienda”, con quale mission e quale vision.

Giacomo Brunoro: LA CASE Books nasce con un’ottica prettamente commerciale: il nostro obiettivo infatti è stato fin da subito di dar vita ad un soggetto che fosse in grado di stare sul mercato in maniera sensata e che permettesse a noi e ai nostri collaboratori di guadagnare divertendoci, dato che amiamo il mondo della scrittura. Questo lo dico perché nella mia esperienza personale mi sono accorto che spesso, quando si parla di editoria, molte aziende si comportino seguendo logiche che non sono di mercato con il risultato che poi sono costrette a fallire o a lavorare in condizioni di di semi-volontariato. Per questo motivo abbiamo puntato fin da subito a colmare vuoti di mercato con titoli studiati ad hoc soprattutto di saggistica, cosa che era relativamente semplice da fare nel 2010 quando i titoli disponibili sul mercato erano ancora pochissimi (anche se evidentemente nessuno ci aveva pensato). Questo naturalmente per il mercato italiano, perché quando si parla di mercato in lingua inglese tutto cambia. Una volta consolidata una piccola quota di mercato abbiamo iniziato a fare anche esperimenti più “letterari”, per così dire, cercando di pubblicare autori esordienti, opere non-convenzionali e titoli di narrativa.
G: Quando leggo articoli dedicati al mondo dell’editoria digitale, trovo opinioni diverse che però sembrano presupporre un’analisi numerica del fenomeno. Faccio però fatica a trovare dei numeri incontrovertibili: tu hai qualche dato certo? Com’è il mercato dell’editoria digitale negli Stati Uniti? Come sta andando quello in Italia? Quali sono i numeri che ci stanno dietro?
GB: Quella dei numeri è la vera barzelletta dell’editoria italiana, e non solo digitale. Nessuno sa mai quante copie ha venduto effettivamente un autore, se non i grandi capi. Io ti posso fare i numeri di LA CASE Books in tutta tranquillità: nel 2011, primo anno vero di attività (i primi audiolibri e ebook li abbiamo pubblicati a dicembre 2010) abbiamo venduto poco più di 15mila copie, nel 2012 poco meno di 50mila copie, mentre da gennaio a oggi all’incirca 12mila copie. Il nostro “bestseller” è “Area 51: tutta la verità”, scritto dal collettivo di giornalisti Wiki Brigades, e a oggi ha venduto esattamente 8.752 copie. Questi sono i numeri “veri” nostri, quelli degli altri non lo so. Per quanto riguarda il macrosistema negli USA si parla già di un 25% del mercato editoriale occupato saldamente dal digitale, in Italia siamo ancora a cifre molto basse, mi pare non si arrivi al 3%.
Per quanto riguarda le vendite per noi Kindle Store di Amazon e iBookstore di Apple rappresentano circa l’75% del fatturato, un 10% lo fa iTunes Store con gli audiolibri, e il restante 10% diviso tra tutti i vari siti di vendita (da Google Play a Barnes & Noble, da IBS.it a Ultima Books). Tra l’altro mi sono confrontato pochi giorni fa con un importante editore italiano che mi ha confermato che anche per loro grosso modo valgono questi numeri (lui mi parlava di un 85% Kindle Store e iBookstore e 15% tutto il resto, dato che loro non pubblicano audiolibri).
G: Ritieni che l’editoria digitale sia semplicemente un modo diverso di produrre contenuti letterari, o pensi che, come diceva Marshall McLuhan, il mezzo influenzi il contenuto? In altre parole: mano a mano che l’editoria digitale prenderà piede, i libri che gli autori scriveranno saranno diversi, o cambierà solo il modo con il quale questi saranno letti?
GB: Il mezzo influenza il contenuto. Credo che uno dei motivi del nostro piccolo successo sia stato dovuto al fatto che da subito abbiamo pensato a prodotti nati esclusivamente per essere letti in digitale: testi relativamente brevi, una formattazione più agile, pochissimo apparato e messaggi molto chiari. Per farti una esempio abbiamo scelto fin da subito di non mettere mai il nostro logo in copertina perché secondo noi nel mondo del web 3.0 non è il contenitore ad essere importante, ma il contenuto: in digitale uno non compra un libro perché l’ha pubblicato Einaudi o Mondadori, lo pubblica perché conosce l’autore, gli piace il titolo o la copertina (e questo vale anche per la libreria, ma vallo a spiegare ai librai…). Lo stesso dicasi per le nostre copertine: molto semplici e con scritte grandi ed immediatamente riconoscibili, perché quando acquisti in digitali vedi una piccola icona e non ha senso realizzare cover ultra dettagliate che poi disperdono il messaggio. Tanti piccoli accorgimenti fatti essenzialmente perché chi sta dietro al progetto LA CASE Books frequenta abitualmente la rete e la utilizza quotidianamente.
G: Uno dei libri pubblicati da L. A. Case, “Che Dio ti aiuti, Bambola”, un romanzo noir di Carlo Callegari ambientato a Padova, è passato al cartaceo, nel senso che la Fanucci ha deciso di pubblicarlo nella sua collana “Nero Italiano”. Ritieni che questo sia un successo, o pensi, invece, che si tratti di un riconoscimento che in qualche modo sminuisce la portata dell’editoria digitale? Non hai mai la sensazione che i lettori continuino a considerare in modo diverso la pubblicazione di un libro in formato digitale, dalla pubblicazione classica su carta, con distribuzione in libreria?

GB: Per noi è stato sicuramente un successo e un motivo di orgoglio. Come ti dicevo prima i testi di narrativa che pubblichiamo sono relativamente pochi, per di più non tutti i nostri ebook avrebbero senso anche su carta. Per un autore di narrativa in Italia la carta è ancora importante a livello di vendite, di visibilità e di guadagni proprio per il discorso del mercato. Ti svelo un piccolo segreto che ti fa capire come per il mercato italiano, al contrario di quanto ho detto prima, il contenitore sia più importante del contenuto: quando uscì l’ebook di Carlo lo inviammo a numerosi giornalisti per eventuali recensioni. Non ne parlò nessuno, anche se l’ebook poi andò molto bene. Quando lo stesso romanzo uscì in formato cartaceo pubblicato da un editore nazionale le recensioni sono arrivate a pioggia, anche e soprattutto da quelle testate che avevano ignorato l’ebook (intere paginate nella sezione “cultura”). Come vedi non importa cosa c’è scritto, importa dove sta scritto e chi lo pubblica. Ma è una normale logica di mercato, non mi lamento. Basta che poi non mi veniate a parlare di Contenuti, di Letteratura, di Cultura, ecc. ecc…
Io resto dell’idea che leggere sia divertente e non importa dove e come lo fai: se mi diverto a leggere un libro o un ebook sono contento. Per alcuni testi la carta è un plus, per altri è un minus, e lo stesso vale per il digitale. Ultimamente ad esempio ho letto moltissimi fumetti in digitale perché a breve inizieremo a pubblicare anche noi una serie di fumetti d’autore in formato digitale e mi sono reso conto delle incredibili potenzialità che il digitale spalanca al fumetto.
Nel mondo editoriale stiamo vivendo un periodo di enormi trasformazioni e nessuno può dire con certezza cosa succederà domani: per alcuni il futuro sarà un disastro, molto soggetti scompariranno, ma nasceranno nuovi soggetti e verremmo travolti dalle novità e niente sarà più come prima.
Non considero questo cambiamento un fattore positivo a priori né tanto meno negativo, è un fatto bisogna prenderne atto (poi ci sono i neoluddisti digitali che lo combattono ma è un altro discorso…).
G: Diverse persone ritengono che l’esperienza del libro non riguardi solo il contenuto, ma anche il modo con il quale questo viene proposto. Girando per i blog, o nei social network, noto che per molte persone (persone che comunque accedono a Internet, e condividono i loro pensieri in una forma che fino a quindici anni fa era impensabile) uno degli aspetti fondamentali del libro sia, ancora prima delle parole che contiene, l’odore della carta; e che proprio l’assenza dell’odore della carta sia uno dei principali ostacoli alla diffusione del digitale in Italia. A mio parere, questo aspetto è irrilevante, e destinato a essere dimenticato, con un sospiro di sollievo da parte degli alberi. Ci sono però critiche più articolate all’editoria digitale, che, secondo alcuni, potrebbe determinare la scomparsa delle librerie tradizionali, ad esempio, e l’erosione del ruolo dell’editore come filtro tra l’enorme proposta letteraria e il mercato di chi compra libri. Qual è la tua opinione in merito? Non c’è davvero il rischio che, abbattuti i costi di produzione del libro, il mercato sia invaso da una proposta all’interno della quale non sarà più possibile trovare qualcosa di realmente buono? Ritieni che il ruolo delle librerie sia ancora centrale nella produzione della cultura?
GB: Per quanto riguarda “il profumo della carta” credo che si tratti di polemiche normalissime che si verificano sempre quando si è di fronte a cambiamenti di questo tipo. Non a caso parlo “neoluddismo digitale”: la stampa ha fatto scomparire gli amanuensi (nessuno si lamenta però di non poter leggere i codici miniati!), i cd hanno fatto sparire i vinili, gli mp3 i cd, ecc. Ogni volta che c’è un salto tecnologico non si torna più indietro, se non a livello di nicchie di collezionisti e ultra appassionati (vedi ad esempio i vinili). Non appena c’è un vantaggio concreto, reale e tangibile per l’utente, il nuovo soppianta il vecchio e buonanotte. Anche qui non ne farei una questione di buono o cattivo, giusto o sbagliato. E’ sempre stato così e credo che sarà sempre così. In questo caso i vantaggi sono enormi: accessibilità, risparmio economico, risparmio ecologico, filiera corta, tutte cose che su larga scala hanno ripercussioni enormi in termini di vantaggi. Però c’è sempre chi resiste, chi preferisce un passato rassicurante di fronte ad un futuro che spaventa.

Per quanto riguarda il filtro dell’editore credo che, sinceramente, gli editori abbiano smesso di svolgere la loro funzione di filtro culturale da almeno una ventina d’anni. Il 90% dei libri pubblicati poco o niente hanno a che fare con la letteratura. In futuro il ruolo centrale tornerà ad essere quello dell’autore (che però dovrà acquisire nuove professionalità). Credo anche che, in termini percentuali, la proposta letteraria resterà immutata anzi, che aumenterà. Naturalmente sarà accessibile soltanto a chi se la andrà a cercare, ma questo è fenomeno a cui assistiamo già da anni: fino al 2011 in Italia si pubblicavano circa 60.000 nuovi titoli all’anno. Una cifra mostruosa che è al di là delle possibilità di chiunque. Per orientarmi in mezzo a questa babele di libri un lettore forte (perché solo un lettore forte va alla ricerca dei libri) ha una serie di strumenti: gli amici, la stampa specializzata, la rete.
Credo poi che sia da sfatare il mito che i grandi autori siano sempre stati popolari e conosciuti: Leopardi, tanto per fare un nome a caso, ai suoi anni era frustratissimo perché non aveva nessun riconoscimento pubblico (oggi sarebbe preso per il culo da tutti e considerato un invidioso di Fabio Volo), Vico era praticamente sconosciuto fino a che Croce non lo fece conoscere al mondo, Proust dovette addirittura pubblicare a pagamento perché nessuno ne voleva sapere della Recherche (faccio un po’ di nomi a caso). Rarissimamente l’alto valore letterario o filosofico è stato sinonimo di grande diffusione popolare, anzi praticamente mai dato che fino a 100 anni sapeva leggere si e no il 20% della popolazione e quindi la letteratura restava un prodotto d’elite scritto dalle elite per le elite. Oggi se ci fosse un novello Dante che per scrivere si facesse mantenere dai ricchi e dai politici sarebbe massacrato senza pietà dalla critica e dal pubblico, insultato nei modi peggiori.
Prima quando si parlava di filtro editoriale non ho volutamente citato le librerie perché credo che oggi come oggi le librerie abbiano perso il loro ruolo di filtro editoriale, per lo meno quelle di catena. Discorso diverso va fatto per le librerie indipendenti che sono ancora un punto di riferimento per molti lettori ma per cui vedo un futuro molto difficile.
Il problema del futuro delle librerie però è strutturale: quante botteghe di sartoria sono ancora aperte? quante videoteche sono

rimaste aperte? quanti negozi di dischi sono rimasti aperti? Eppure credo che siamo tutti d’accordo nel ritenere che il cinema e la musica siano forme di espressione assolutamente equiparabili alla lettura per quanto riguarda il loro valore culturale e artistico. Nonostante tutto la musica non è morta (anche se da quando non c’è più Frank Zappa non si sente più molto bene).
Il punto di fondo è che i libri, la letteratura e tutto la filiera editoriale, stanno sul mercato con la pretesa che per loro debbano valere leggi diverse perché rappresentano la CULTURA. Purtroppo le cose non sono così e, cosa che mi rattrista sempre di più, in Italia questa situazione è enormemente amplificata.
A domani!
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Chi è Giacomo Brunoro
Vive e lavora a Padova dopo aver vissuto e lavorato a lungo a Milano (Radio Deejay, Sky Tg24, Controcampo, Radio Kiss Kiss Network, RIN,Push Pull, Dieci, GOODmood, Maxim…).
Dopo aver collaborato a lungo con le radio del gruppo Sphera Holding (Radio Padova la radio del Veneto e Easy Network) attualmente è nello staff di consulenti di Ausonia Consulting ed è Direttore Editoriale di LA CASE Books, editore digitale statunitense.
E’ presidente dell’associazione culturale Sugarpulp con cui organizza a Padova il Sugarpulp Festival.
Altro post degno di nota!
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Ottima intervista e lungimirante come sempre
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Credo che a dover cambiare siano gli editori soprattutto. Oggi -quelli tradizionali- si sentono investiti di una centralità che non hanno più. Il digitale li riporta molto alla loro funzione primaria. e questo forse è l’unico punto in cui non concordo con Brunoro. La riconoscibilità di un marchio editoriale è importantissima nel momento in cui tutto può avere dignità di pubblicazione.
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Sì, concordo – con il tempo sarà sempre più importante la reputazione: in un mercato inondato di proposte, conterà non sbagliare un colpo – forse molto più di quanto succeda oggi… EBay funziona così: feedback degli utenti. Idem per TripAdvisor. Ora ci affidiamo ai commenti di giornalisti – magari più competenti, ma non sempre imparziali…
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