La morte

Oggi, al lavoro, dal cliente, in un momento come tanti altri – io e i miei colleghi davanti ai monitor del pc a controllare le segnalazioni delle sonde, a rispondere a una mail, a scambiarsi qualche idea su una nuova integrazione – un tizio che intravedo ogni tanto (lavora a dieci metri da me) chiama il mio referente e altri due o tre interni, e dice loro di seguirlo in una sala riunioni, una delle più grandi, nella zona dei centri congressi. Il tono è concitato, nervoso, drammatico. Quando se ne vanno, noi che siamo rimasti ci guardiamo, e ci chiediamo cosa potrebbe essere successo. Un licenziamento di un collega? Uno sciopero improvviso? Speriamo in una rivolta, con i tavoli rovesciati nei corridoi, i dipendenti barricati contro i padroni. Ma andando a prendere il caffè, li vediamo tornare, in silenzio. Qualcuno ha le lacrime agli occhi. Hanno i volti tesi. Capiamo che è morto qualcuno.

Mentre sono in coda alla macchinetta, cerco di intercettare qualche informazione. Dalle facce si capisce che nessuno se lo aspettava. Un incidente? Non so perché, penso che sia successo qualcosa al pelatino sempre in giacca e cravatta, che proprio domenica scorsa avevo visto in jeans e scarpe da ginnastica all’Interspar di via Plebiscito, ma qualche secondo dopo lo vedo salire le scale, e ho un piccolo tuffo al cuore. Sorride, non sa nulla. Arriva il mio referente. Gli dice che è morta Francesca.

Andiamo in terrazzino – qualcuno fuma, io bevo un decaffeinato, mentre un fronte di nuvole gialle, spinto dallo scirocco sabbioso, si ammassa all’orizzonte. C’è aria di pioggia. Qualcuno racconta che lunedì Francesca non stava bene, che era andata a casa prima. La sera qualcuno le ha scritto un sms e lei non ha risposto. Ieri non è venuta al lavoro; e poiché nemmeno questa mattina rispondeva al telefono, due sue colleghe – una dell’ufficio del personale, un’altra che spesso faceva pausa con lei – sono andate a casa sua, e aiutate da qualcuno (pompieri? carabinieri? un fabbro?) sono entrate. Francesca era seduta sul divano, ancora vestita. (Più tardi il mio referente mi ha detto che lunedì, mentre lui era in riunione, l’aveva vista passare in corridoio, seduta su una sedia con le rotelle, e un’amica che la spingeva. Aveva pensato a uno scherzo).

In linea d’aria, il suo tavolo è a cinque metri dal mio – ci separa un montacarichi. Negli ultimi due anni credo di averla vista tutti i giorni e non le ho mai rivolto la parola: succede in un’azienda in cui lavorano cinquecento persone. Aveva quarantanove anni, anche se ne dimostrava meno. Era stata operata alle mani diverse volte – quelle notizie che emergono nel tentativo di trovare una spiegazione. Viveva da sola. Probabilmente è morta poco dopo essere tornata a casa, e poi è rimasta ad aspettare che qualcuno venisse a trovarla, per due giorni, accanto al cellulare che continuava a squillare. Se si fosse sentita male mentre era al lavoro, se non ci fossero stati solo quei sintomi così vaghi, magari qualcuno avrebbe potuto provare a fare qualcosa; a pian terreno ho visto un defibrillatore. I suoi genitori sono stati avvertiti dal responsabile delle risorse umane, un omone alto due metri che sembra un sommelier. Ci sarà un funerale che svuoterà l’azienda per una mattina, e prima o poi qualcuno prenderà il suo posto vuoto.

La morte. Lunedì ha puntato il suo dito verso il basso ed è entrata in un’azienda che si occupa di servizi bancari. Poteva prendere chiunque (ed era anche paura, quella che leggevo nelle nostre facce) ma ha scelto Francesca. Per la sua famiglia – se ha fratelli o sorelle, qualcuno che pensava a lei prima di andare a dormire, i suoi genitori – inizierà un periodo pieno di dolore, che durerà anni. Un compleanno, il Natale, e poi gli anniversari della sua scomparsa, un appartamento da svuotare, un mutuo da rescindere. Saul Bellow diceva che la morte è il fondo nero dietro lo specchio: è il buio che ci consente di riconoscere il nostro volto. Consola poco, in momenti come questi. Kinglsey Amis, invece, la considerava un’insopportabile offesa, e questa frase suona meglio. Noi ci penseremo ogni tanto – magari quando sentiremo pronunciare il suo cognome che ora suona come un’insopportabile ironia.

Uscendo, sono passato davanti al suo tavolo. C’era una penna rossa, un blocco di appunti – sopra, il nome di una procedura informatica, il suo ultimo segno in questo mondo. Che piccola cosa è la nostra vita, ho pensato. Ed è tutto quello che abbiamo.

Svelare questo mistero, il mondo, era la sfida segreta. Dal nulla, dal non essere o dall’oblio primigenio entravi in una realtà pienamente sviluppata e articolata. Non avevi mai visto la vita, prima. Nell’intervallo di luce tra il buio in cui aspettavi di nascere e il buio della morte che ti avrebbe accolto, dovevi fare il possibile per impadronirti della realtà, che era in uno stato di sviluppo avanzatissimo. Millenni avevo atteso, per vederla.
(
Saul Bellow, Ravelstein, traduzione di V. Mantovani, Mondadori, Milano 2000, p. 111)

18 commenti Aggiungi il tuo

  1. Renato ha detto:

    Forse è proprio per reagire a questa insopportabile offesa, che a me piace pensare che non sia tutto qui.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Eh…. il conflitto insanabile: sentiamo di avere un’anima eterna, e viviamo in un corpo che sembra non esserlo proprio…

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  2. Zio Scriba ha detto:

    Io credo che nel parlare della morte anche i più grandi scrittori, specie occidentali (e non lo dico certo da fanatico orientaloide, anzi) possano confondersi, prendere dei granchi, mettersi, in modo sconcertante e deludente, a imprecare e piagnucolare, insomma non fare bellissime figure (penso alle reazioni rabbiose come quella di Kingsley Amis, molto simile a quella di Philip Roth).

    La morte fa parte della vita, è la cosa più naturale che c’è, e la luminosa immagine di un novantenne che muore tranquillo nel suo letto, dopo una vita piena e un cammino compiuto, circondato da persone che gli vogliono bene, è talmente carica di serenità e bellezza da poter probabilmente rappresentare LA serenità e LA bellezza. (In quei casi non riesco nemmeno a concepire la parola “lutto”, e guardo sempre con incredulità mista a compassione e sospetto chi la usa).

    La tragedia è invece ovviamente costituita dalla malattia, dalla sofferenza, dal dolore per le perdite improvvise o premature, dalla violenza. Tutte brutte cause di brutta morte, ma che non sono “la morte”. (A fregarci sono anche secoli di propaganda del potere, soprattutto religioide, bisognoso, per meglio sottometterci, della nostra paura di morire, nutrita ad arte con odiose terrificanti immagini a base di scheletri a cavallo, mantelli neri e falci, per non parlare della cagata dell’”Inferno”. Non a caso, qualcuno ha scritto che l’unico uomo libero è colui che non teme la morte).

    Naturalmente queste parole valgono per pochissimi, in un mondo citrullo che non solo rimuove la morte, ma che addirittura non accetta l’invecchiamento, un mondo di Ego così spropositati e incancreniti e abbarbicati alla propria ridicola pretesa di eternità e alla propria presuntuosa, banale piccineria da spendere milioni per iniettarsi veleni capaci di cancellare le meravigliose rughe del sorriso, tracce di emozioni, orme d’intelligenza, segni di vita. Di quella vita che, purtroppo o per fortuna, riporterà alla polvere ognuno di noi, senza distinzioni.

    Se usciamo dalla maligna trappola dell’Ego, scopriremo che non c’è proprio nulla di insopportabile, e nessuna offesa. Non dico che sia facile. Io mica ci sono riuscito. Ci provo.

    Un pensiero dolce per la tua sfortunata collega, e per te che hai voluto pensarla, insieme a noi.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Proprio perché non è facile, gli uomini continuano a scrivere… di morte e di amore. Amis diceva che l’amore ha la caratteristica di avere due contrari: l’odio e la morte. Io penso che siano la stessa cosa.

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    2. vincenzo2345 ha detto:

      Si sarà come dici tu ma non puoi essere sicuro al 100% che dopo la morte non c’è niente

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  3. amanda ha detto:

    a me sembra più insopportabile pensare che la sua vita si sia chiusa così, senza preavvisi ed in solitudine e pensare che forse se ne è resa conto ma non è riuscita a chiamare aiuto, perché la morte di per sè è scritta nella vita

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Nel medioevo si pregava Dio affinché ci evitasse una morte improvvisa…. II dolore fa paura, ma un’uscita di scena inconsapevole, nel sonno, è, come dici tu, più insopportabile…

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    2. vincenzo2345 ha detto:

      Si però non puoi essere sicura al 100% che dopo la morte non c’è niente

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  4. nou ha detto:

    Vorrei dire la mia…se riuscissi a esprime l’emozione.
    Penso che la morte abbia sorpreso troppo presto e a tradimento Francesca, in solitudine. Rimango colpita e in qualche modo presa da una profonda rabbia verso la sorte che colpisce persone ancora giovani, che hanno passato molta vita al lavoro senza potersi godere un giusto tempo di quiescenza.

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    1. nou ha detto:

      Mi scuso, con l’autore di questo blog, per essere intervenuta, non succederà più.

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      1. Paolo Zardi ha detto:

        Cara Nou, ti chiedo scusa per non aver risposto al tuo commento – tieni conto che raramente ho accesso al blog, e il più delle volte devo accontentarmi di rispondere tramite un’applicazione davvero scadente del BlackBerry, che mi mostra cose a caso. Avevo letto il tuo commento, e avevo pensato che ero d’accordo, e che avrei voluto dirtelo…. Mi spiace che tu ti sia dispiaciuta, davvero.. Non posso rimediare, se non chiedendoti scusa…

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        1. nou ha detto:

          L’ho presa male, proprio perché sono sensibile a queste tragedie anche se toccano degli estranei. Non vedendo risposta, ho interpretato di essere stata inopportuna per eccesso di condivisione. Avrei dovuto pensare a una causa involontaria.
          Nou

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  5. Francesco Coscioni ha detto:

    Cerco sempre di più di convincermi che la morte è inscritta nella vita, forse per un eccessivo bisogno di razionalizzazione, forse per una forma di difesa. Poi leggo questo post e inaspettatamente mi viene da piangere. E da questo conato di lacrime che mi viene dallo stomaco, capisco che si tratta di una lotta: la vita combatte con tutta se stessa la morte, in sè è inscritto il desiderio di sopraffazione, di vittoria. E quando la morte vince, la vita perde.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      La vita che combatte con tutta se stessa la morte – questo attaccamento disperato che ogni persona ha verso la propria vita e verso quella degli altri – è ciò di cui dovrebbe parlare la letteratura…

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    2. vincenzo2345 ha detto:

      Si però sarà come dici tu ma non puoi essere sicuro al 100% che dopo la morte non c’è niente

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  6. flampur ha detto:

    Ciao Paolo, ti saluto confidenzialmente perché ultimamente sei oggetto di disputa editoriale a casa mia, mia moglie ti preferisce Zio scriba come autore, io adoro Nicola anche se trovo immensi alcuni tuoi racconti.. tornando al post, io temo incredibilmente la morte (mia e di chi ho vicino) e cerco di esorcizzarla con i miei scritti, di prenderci cosi tanta confidenza (come con la commissione d’esame ala maturità), da poterci bere un caffè insieme il giorno che tutti ne saranno atterriti, ma forse è tutto un bel parlare, e custodire il dolore potrà servire a poco… a presto

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    1. vincenzo2345 ha detto:

      Che cosa pensi che accada dopo la morte?

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