Gli eroi imperfetti – Stefano Sgambati

Difficoltà iniziali
Ammetto che non è stato facile, all’inizio, leggere Gli eroi imperfetti, il primo romanzo di Stefano Sgambati (casa editrice minimum fax, nella prestigiosa collana Nichel curata dall’eccellente Nicola Lagioia): ho provato la strana sensazione che colpisce, ad esempio, chi vede un amico che di mestiere fa l’attore salire sul palco a recitare qualcosa. La leggera frizione tra realtà e fiction, tra il mondo e la sua rappresentazione.

Le idee comuni e la loro stupidità

Stefano Sgambati
Stefano Sgambati

Conosco Stefano Sgambati da qualche anno – anzi, poiché ho una passione un po’ autistica per le date, posso dire anche il giorno preciso: da giovedì 28 ottobre 2011. Di lui ho letto la raccolta di racconti Il paese bello,uscito per i tipi della Intermezzi Editore nel 2010, e Fenomenologia di Youporn, per Miraggi, un saggio ironico e non banale sull’impatto della pornografia digitale sul ventunesimo secolo; e poi seguo le cose che scrive su Facebook. I suoi status, spesso veri e propri post, sono caratterizzati da uno spirito “sarcaustico”indirizzato, quasi sempre, contro la “stupidità delle idee comuni”. Lo faceva anche Flaubert, tanti anni fa – una passione che aveva coltivato fin dall’infanzia (a dieci anni scrisse una lettera programmatica a un amico:Se vuoi associarti con me per scrivere, io scriverò commedie e tu scriverai i tuoi sogni, e siccome c’è una signora che viene dal papà e ci racconta sempre delle stupidaggini, io le scriverò), e che sfociò nel Dictionnaire des idées reçues (reçues significa, letteralmente, “che sono state ricevute”: non le idee che uno partorisce autonomamente ma i luoghi comuni che funestano il pensiero quotidiano; e in particolare quelli che la gente dice credendo di essere originale – una specialità che i social network hanno drammaticamente enfatizzato).

Per fare un esempio, ecco uno status di Sgambati del 18 marzo 2014:

fb_icon_325x325… Coppia di settantenni a bordo di un treno Italo in servizio da Napoli a Torino Centrale. Lei sta parlando al cellulare:
– Nooooo! Nooooo! È bellllllissimo! Sì! Sì! Trecento alllll’ora! Eh! Eh! Trecento! TRECENTO! Sì, trecento! Trecento all’ora!
– [Il marito si sovrappone] Trecento all’ora! Diglielo! Trecento!
– Trecento all’ora! Sì! Trecento!
– [Il marito cercando di arpionare il cellulare] TRECENTO! Sta scritto ‘ncopp’ u monitòr!
– Va velocissimo! Non si vede niente! Trecento all’ora, tu hai capito!? Trecento! Sì! Trecento! No! Trecento! Trecento! Come?!? Sìììììììì! Trecento! TRECENTO!
– [Il marito si sporge verso il telefono mantenuto dalla donna perché vuole parlare lui] Hai capito?!? TRECENTO! Ogni tanto 290! Diglielo! Ma quasi sempre trecento!
– NOOOOO! Ancora un’ora ci vuole! Eh! Quello va a trecento all’ora! Sì sì! No! Trecento! TRECENTO! Sì sì! Ogni tanto ci facciamo pure una passeggiata! Una passeggiata a trecento all’ora!
– [Il marito allunga di nuovo la mano verso il cellulare] Una passeggiata a trecento all’ora!!
– Eh!! Trecento!
(ora, per favore, se ci riuscite, immaginate Tutto Questo preceduto dalla suoneria del cellulare a tutto volume. Motivo: “Nove settimane e mezzo”)

oppure il 3 marzo, dopo l’Oscar a Sorrentino:

… Poteva andare peggio.
Poteva ringraziare la mozzarella di bufala, la fessa, Mario Merola, la colatura di alici di Cetara e dire “Wyoming” coi rutti.

giuliano-sangiorgi-6I suoi nemici giurati sono Michele Serra, Giuliano Sangiorgi, Paolo Sorrentino, Roberto Saviano, Jovanotti, e in generale i “sopravvalutati”, quelli che piacciono a tutti perché, di fatto, si guardano bene dal dire qualcosa in grado di infastidire qualcuno, i piacioni, ribelli conformisti, i fustigatori di costumi, gli intellettuali a la page, gli indignati – quel genere di gente là. E i suoi attacchi li porta avanti da scrittore: ogni status contiene un’idea letteraria, o una figura retorica, o una particolare costruzione sintattica che lo rendono un piccolo pezzo di bravura. Quando mi ero allontanato da Facebook, per quasi un anno, mi dispiaceva non poter leggere questi sguardi provocatori sul mondo – o contro il mondo, per essere più precisi.

La seconda difficoltà
E dopo aver iniziato a leggere Gli eroi imperfetti, dopo aver superato la difficoltà di leggere il romanzo scritto da una persona che conosco, seppure superficialmente, mi sono reso conto che per almeno cento pagine non ho smesso di cercare la voce che conoscevo grazie a Facebook, o quella che avevo apprezzato leggendo i racconti di Il paese bello o la sua fenomenologia: che cercavo il sarcasmo feroce, la provocazione, l’irriverenza, la scorrettezza portata ai suoi livelli più estremi. La cattiveria di un post a caso – quello che aveva messo in bacheca alla fine del 2013:

… Depensanti che precipitano nei crepacci sciando fuori pista o guidando gatti delle nevi bendati per sentirsi De Sica in “Vacanze di Natale ’90”; scemi privati della scuola dell’obbligo che muoiono facendosi saltare la testa con le “bombe di Maradona” a mezzanotte e un minuto: adoro il puntuale e necessario lavoro di selezione naturale con cui si chiude classicamente ogni anno.

o uno di qualche giorno fa:

.. Vorrei scrivere qualcosa di struggente e triste e malinconico su Gabriel Garcia Marquez, ma alla fine – sai che c’è? – sempre meglio a lui che a me.

Ne Gli eroi imperfetti non c’è nulla di così spietato, diretto o trasgressivo. E invece, capitolo dopo capitolo, ho continuato a cercare questo umorismo, sbagliando, abbastanza clamorosamente, la mira.

Il libro
eroi imperfettiPer un attimo, faccio finta che questa sia una recensione, e non il tentativo di raccontare l’impatto di un libro su un essere umano con il quale ho molta confidenza, cioè su di me. Oggettivamente, il romanzo è composto da dieci capitoli piuttosto eterogenei, intervallati, talvolta, da intermezzi che simulano o riprendono notizie di cronaca. Il punto di vista continua a cambiare: in due capitoli uno dei personaggi racconta la storia in prima persona, in altri qualcuno parla con una dottoressa invisibile che si limita a porre delle domande; e ogni volta il registro cambia per accompagnare queste variazioni: per accentuarle, esasperarle, sottolinearle, confonderle. Sgambati – lo si era visto già nei racconti – ha un grandissimo controllo della lingua (lo dico anche se questa frase suona proprio brutta) e ha il coraggio di usarla fino in fondo (idem): a mio parere, è uno dei pochi autori che si può permettere il lusso di farlo senza risultare stucchevole o artefatto.
La trama, un aspetto del romanzo spesso sopravvalutato, non è lineare. Il tempo, ad esempio, continua a scorrere in avanti e indietro, in modo spesso impercettibile. Non esiste un personaggio principale: le persone che si muovono sulla scena sono almeno cinque. C’è il libraio Matteo, il vinaio Corrado e sua moglie Carmen, c’è il corniciaio Gaspare, motore della storia, e Irene, che lavora in uno studio di avvocati. Matteo è innamorato di Irene che è la figlia di Gaspare, il quale ha confessato qualcosa di terribile al vinaio e alla moglie. Gaspare presenta Irene al vinaio e poi spinge Matteo ad andare a trovarlo. Ma anche se continuano a interagire tra loro, solo il penultimo capitolo (il decimo riprende un ricordo di Carmen accennato nel primo capitolo) mette in scena i personaggi tutti insieme, sullo sfondo del Tevere che, a causa della pioggia incessante, sta minacciando di esondare. Di Matteo, Irene e Corrado conosciamo il personale punto di vista; Gaspare e Carmen, invece, rimangono, per motivi diversi, imperscrutabili, anche se le loro mani finiscono per tradirli.
Sempre sulla trama: nel primo capitolo viene introdotto un “mistero” che non viene mai risolto del tutto e che nonostante la sua apparente centralità finisce per diventare un pretesto narrativo per parlare d’altro. La sua parziale rivelazione nella seconda parte del romanzo non porta, di fatto, a nessuna conseguenza importante. L’attenzione di Sgambati non si concentra sull’informazione in sé ma, piuttosto, sugli effetti secondari che questa produce mano a mano che si sposta: mano a mano che il contagio si diffonde tra i personaggi di questo piccolo mondo.

Il mondo degli eroi imperfetti
Continuo con l’imitazione di una recensione “vera”. Il mondo di cui parla Sgambati è la piccola porzione di Roma che gravita attorno a Ponte Milvio, diventato tristemente celebre per la moda dei lucchetti lanciata da Moccia: un mondo abbastanza borghese, abbastanza colto, abbastanza raffinato, di esercenti, commessi, esperti di vino, artigiani, baristi. Come in una commedia, i personaggi si spostano da un negozio all’altro, tornano in appartamenti dai quali è possibile osservare il ponte, il fiume, i negozi dall’alto: tutto succede là dentro, all’interno di quel perimetro.

E cosa succede, all’interno di quel perimetro? Un ragazzo si innamora della ragazza sbagliata; un uomo viene ingiustamente accusato di stupro, ma l’accusa si smonta nel giro di poche pagine; viene rivelato un segreto legato al passato di uno dei protagonisti. Stop. Il grosso del romanzo, allora, la ciccia, è all’interno delle teste (e meno nei cuori) dei personaggi, che non smettono, nemmeno per un secondo, di analizzare millimetricamente ogni singolo evento. I sentimenti, e le relazioni, vengono passati attraverso le maglie di un sottile setaccio; poi il residuo viene infilato sotto un microscopio elettronico e quindi descritto. Ed è di questa introspezione che, di fatto, è composto il libro: questo è l’ingrediente principale.

Che m’ha fatto?
Ma alla fine, che m’ha fatto, questo libro? Ci sono romanzi che “generano significato” attraverso la trama e le vite dei personaggi, e ce ne sono altri, come Gli eroi imperfetti, che invece portano avanti un’idea di mondo parola per parola, una frase dopo l’altra. Corrado, Matteo, Irene, Gaspare e Carmen, e Ponte Milvio e la Libreria Pallotta non sono i soggetti di questo romanzo, ma l’oggetto sul quale si applica l’intelligenza ferocemente acuminata dell’autore: dal punto di vista strettamente drammaturgico, il peso specifico di queste pagine è lieve ma in termini di profondità cognitiva è paragonabile a quello dell’uranio. E bisogna ammettere che Sgambati ha una grande fiducia nell’intelligenza del lettore, che si trova tra le mani un’opera densa, stratificata, cangiante, multiforme: invece di semplificare, invece di procedere per riduzione (attività che spesso vengono richieste agli autori di romanzi), Sgambati accumula continue rivelazioni esistenziali, spesso contraddittorie, senza mai evitare la naturale complessità che caratterizza le relazioni: i desideri, la paura, il risentimento, l’invidia. Il titolo, allora, è solo una delle tante possibili interpretazioni di ciò che succede in questo romanzo – l’inevitabile imperfezione che caratterizza qualsiasi decisione, e l’eroismo, che è l’atto con il quale il personaggio di una tragedia sceglie consapevolmente la propria rovina pur potendola evitare: Irene, Matteo, Gaspare, il cui eroismo è imperfetto perché basato su informazioni sbagliate… Ma anche se coglie un aspetto importante, esclude quasi tutto il resto. Io, piuttosto, l’avrei intitolato Il mondo secondo Sgambati. O qualcosa di altrettanto definitivo.

Ma per arrivare a cogliere questa complessità, per arrivare ad apprezzarla, ho dovuto dimenticare Il paese bello e Fenomenologia di Youporn, e il sarcasmo irriverente di Facebook. Non è stato facile: a pagina cento sono stato tentato di tirarlo fuori dalla finestra, come qualche volte succede anche con i grandi libri. Poi ho capito che stavo cercando le cose sbagliate: ho corretto il tiro, ho preso meglio la mira e ho divorato le ultime cento pagine in un viaggio tra Padova e Roma: godendo di ogni singola pagina. E alla fine, ho avuto la conferma di ciò che avevo intuito tempo fa: difficilmente il futuro della narrativa italiana potrà prescindere da questo autore.

pallotta

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