Di chi è la fantascienza?

Qualche mese fa sono stato contattato da Carlo Mazza Galanti, uno dei redattori di “Nuovi argomenti“, una rivista letteraria trimestrale pubblicata da Mondadori e fondata da Alberto Moravia e Alberto Carocci nel 1953, e portata avanti, nel corso degli anni, anche da Pierpaolo Pasolini ed Enzo Siciliano. Al di là dei meriti letterari che questa rivista ha accumulato nel corso degli anni, che possono essere condivisi, discussi o contestati in base ai propri punti di vista, la rivista è unanimamente riconosciuta come tra le più autorevoli in Italia. Non nego quindi di essere stato onorato da questa proposta, che ho accettato molto volentieri. Nella mail, Mazza Galanti mi scriveva:

Sto curando un prossimo numero di Nuovi Argomenti dedicato alla fantascienza (fantascienza, fantapolitica, distopia, controfattualità, ecc), intensa in un senso più largo e polimorfo possibili.

Ho iniziato a leggere fantascienza da piccolino – tra i vari libri che potevo trovare lungo l’enorme libreria che occupava un lato intero del corridoio di casa mia, mio padre aveva infilato anche diversi numeri di Urania, nei piani bassi di quella struttura in legno bianca: era un modo per consigliarceli, a me e ai miei fratelli? Un pomeriggio mia madre ci portò a vedere “2001 Odissea nello spazio”, al cinema Concordi (ora chiuso), vicino al Duomo di Padova. Fausto, il mio fratello minore, si addormentò nel giro di un quarto d’ora (era sua abitudine farlo non appena metteva piede in un cinema). Uno o due anni dopo, mio padre ci portò al cinema Marconi (ora chiuso), dalle parti di Prato della Valle, a vedere “Guerre stellari”. Fu una folgorazione. Chiedemmo, e ottenemmo, di rivederlo altre due volte, in cinema di terza visione; e l’estate successiva, a Grado, lo andammo a rivedere nell’unico cinema del paese (ora trasformato in una specie di museo/libreria) e alla fine ci affacciammo dai tendoni di velluto per incrociare gli sguardi della mamma e del papà che ci aspettavano fuori, e a segni dicemmo che ci saremmo fermati a guardarlo una seconda volta! In camera di mio fratello c’era un poster di 3BO e di C1 nel deserto del pianeta dove era cresciuto Luke Skywalker. george_orwell_1984E non so quando – forse un anno dopo, ma non ho modo di verificarlo – mio nonno ci portò al cinema Biri (che ora non so cosa sia), alla Stanga, a piedi (tre o quattro chilometri da casa mia), a vedere un film di fantascienza giapponese, che lasciò piuttosto perplessi tutti e quattro. Ora che ci penso, mio nonno ci portava spesso al cinema: prediligeva il genere catasfrofico, tipo “Airport ’75” e poi “Airport ’77”, che vedemmo, a distanza di due anni  l’uno dall’altro, al cinema Eden, in piazza Cavour. E proprio all’Eden (ora ristorante Break), a 11 anni, mia madre portò me e alcuni miei compagni di classe a vedere “E. T.”, uno dei film più belli che io abbia mai visto. Quell’inverno, a casa della Luciana, mia zia, a Venezia, i miei mi diedero da leggere “L’ora di fantascienza”, una raccolta di racconti fantascientifici a cura di Fruttero e Lucentini, già direttori di Urania: lessi “La sentinella” di Brown, e “Nato di uomo e di donna” di Matheson, un racconto che mi commosse fino alle lacrime. A 12 anni trovai, sempre nella libreria lungo il corridodio di casa mia, “1984”, ed era il 1982, quel titolo parlava ancora del futuro; e quando uscì il film, proprio nel 1984, andai a vederlo con Giannalisa, Jacopo e Luca, tre miei compagni di classe, sempre al cinema Biri, dove con il nonno avevo visto il film di fantascienza giapponese, e ricordo che Jacopo, all’uscita, disse che era il più brutto film che avesse mai visto – a trent’anni di distanza, credo ne sia ancora convinto: un film cupo, scabro, terribilmente malinconico. Ma proprio a casa di Jacopo, nei sabati sera che dedicavamo al noleggio di una videocassetta da vedere tutti insieme, abbracciati alle amiche che invitavamo, vidi “Brasil”, il distopico film di Terry Gilliam, del quale, qualche anno dopo, ammirai anche “L’esercito delle dodici scimmie”, al Supercinema (oggi un enorme negozio della Benetton) con Ugo, il papà di Lara, la mia fidanzata di allora, che avevo corteggiato e conquistato sui divani del salotto di Jacopo. E ora, a distanza di tanti anni, sto iniziando a coinvolgere anche i miei figli. L’anno scorso siamo andati a vedere “Gravity”, e anche se hanno avuto un po’ di paura, hanno apprezzato. Sognare, evidentemente, piace a tutti.

3Dnn+9_8B_pic_9788804638124-nuovi-argomenti-n.-68_original-225x296A dicembre, finalmente è uscito “Nuovi argomenti”, all’interno del quale c’è anche il mio racconto, “Il ventunesimo secolo”. Non è un racconto fantascientifico: diciamo che dell’invito del curatore ho colto soprattutto la distopia e, in misura molto minore, la fantapolitica. Si svolge in un’Italia finita, esausta, sventrata, ed è una storia minimalista, di due persone qualsiasi che si incrociano per un attimo. Non avrebbe mai trovato posto in un numero di Urania, questo è sicuro; ma poiché l’intenzione del curatore non era quello di creare un nuovo numero di Urania (anche se il titolo della raccolta, “Urania 451”, gli rende omaggio), mi sono comunque sentito a casa mia. Quando ho ricevuto le mie due copie, e le ho sfogliate, sono stato contento: mi pareva bellissimo che un gruppo di autori “non di genere” fosse stato sfidato a scrivere qualcosa su questo argomento.

E’ stato così che ho scoperto che esiste una specie di corporazione, una loggia, una lobby, una setta – non saprei in quale altro modo chiamarla – che ha, o ritiene di avere, l’esclusiva sulla fantascienza. Ho letto recensioni del libro scritte da persone che, nella recensione stessa, dichiaravano apertamente di non averlo neppure aperto – di non averlo mai visto! – e nonostante questo erano sicurissimi che il risultato era pessimo: sfogliando l’indice, infatti, avevano notato, con un certo raccapriccio, che mancavano tutti i più importanti autori di fantascienza italiani degli ultimi vent’anni!
spacemanNon ho nulla in contrario alle critiche – anche qui, da Grafemi, ogni tanto ci si permette di dissentire su alcune scelte. Ma in questo caso, a mio parere può essere interessante provare ad approfondire un po’. Il numero di “Nuovi Argomenti” non si propone come una fotografia della fantascienza italiana contemporanea, né come una raccolta delle migliori cose scritte negli ultimi anni: è una sorta di esperimento con il quale ci si domanda: “Cosa succederebbe se chiedessimo a un po’ di autori che, per stile e sensibilità, hanno lambito la fantascienza senza averla mai affrontata di proposito?”. La raccolta (e per capirlo sarebbe sufficiente leggere la bella introduzione di Mazza Galanti) non si pone in contrasto alle varie riviste specializzate (tra le quali anche Urania): si tratta di nuovi argomenti, un tentativo di capire cosa succede contaminando generi diversi. Non è quello che si dovrebbe fare sempre, in letteratura? La levata di scudi del mondo della “fantascienza ufficiale italiana” dimostra che l’esperimento non solo è riuscito, ma era perfino necessario. Ecco un commento, letto a margine di una recensione che accusava “Nuovi argomenti” di aver preparato una vetrinetta per gli amici del curatore:

Niente di nuovo, eh. Vi ricordate la storia degli Impressionisti e dell’Accademia? Ecco. Fare l'”intellettuale” è sempre stato un mestiere.

Il punto è che, andando a vedere bene, le cose stanno nella maniera opposta. L’Accademia non è “Nuovi Argomenti”, che cerca di sondare nuove possibili strade, ma la Corporazione degli Specialisti di Fantascienza che ritengono di detenere l’escusiva sull’argomento: secondo la loro opinione è inaccettabile che qualcuno decida di far uscire una rivista di fantascienza senza aver coinvolto i nomi già affermati che un gruppo di persone, autonominatesi guardiani della Tradizione e giudici delle possibili Evoluzioni, sarebbe in grado di indicare a occhi chiusi. Qui non si tratta di rinnegare una qualche scuola: il mio racconto, e quelli degli altri autori coinvolti, non negano l’esistenza della letteratura di genere, e tantomeno il suo valore o i suoi meriti. Questi racconti nascono da esperienze personali, da percorsi non convenzionali: non avranno il rigore alessandrino degli autori riconosciuti, ma hanno comunque qualcosa da dire. Incrocio la fantascienza da quando sono bambino – quella mainstream, certo, ma non solo quella. Ma di chi è la fantascienza? Appartiene a qualcuno? Se un giorno decidessi di scrivere un noir, a chi dovrei chiedere l’autorizzazione?

E’ evidente che in tutto questo discorso io sono, anche se in piccola misura, parte in causa. Non so se avrei preso tanto a cuore questa querelle se nella raccolta non ci fosse stato un mio racconto. Ma sono sicuro, ne sono convinto in assoluta buona fede, che la mia visione di letteratura è nemica assoluta di qualsiasi establishment letterario, di qualsiasi ortodossia: di chiunque ritenga di possedere una qualche formda di esclusiva sugli argomenti di cui si può parlare. La lista immaginaria degli autori che avrebbero dovuto partecipare a questa raccolta è quanto di più simile io abbia mai visto a certe storie di processi sovietici, dove si decideva chi era autorizzato a scrivere e chi no. Un piccolo episodio degno di “1984”. Segno che la distopia, e la fantascienza, spesso ci vedono giusto.

6 commenti Aggiungi il tuo

  1. tramedipensieri ha detto:

    Certo che…sembrerebbe un paradosso che delle persone che scrivono di fantascienza si arrochino il “diritto” dell’esclusivitá dell’argomento…
    Non pensando sempre che l’approccio dell’umiltá e condivisione nonché apertura porti sempre nuova linfa a tutti…
    Da idea nasce idea…
    Complimenti e in bocca a lupo!

    Ciao
    Auguri di buon anno
    .marta

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  2. gaberricci ha detto:

    Già ghettizzare il proprio genere letterario per paura di perdere un’identità pretesa “elitaria”, già di per se, è una cosa che trovo abbastanza demenziale, ma nel campo della fantascienza mi sembra, francamente, assurdo: la fantascienza è un genere che vive di contaminazione, di mescolanza. O fa questo, o muore. E dunque: per conservare il proprio “spazio di benessere”, vale la pena farlo morire?

    Grazie per aver raccontato questa storia, dunque, e scusi (o scusa, come preferisce/preferisci) se come primo commento è un po’ depressivo:-).

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  3. Zio Scriba ha detto:

    Be’, i miei complimenti a questa persona così capace e così illuminata da venir a cercare un Autore nuovo, bravo, intelligente e originale come te, anche se non figuravi nelle liste ufficiali autorizzate di nessun “ordine”, di nessuna congrega, di nessun soviet, di nessun minculpop.
    Sul resto (comportamento tutt’altro che sorprendente di certa critica italiota ecc.) preferisco esercitare anch’io il mio diritto alla selettività preventiva: meglio non curarmene, meglio tacere! 🙂

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  4. ellagadda ha detto:

    Non ho mai ben compreso le divisioni letterarie, credo che la loro utilità sia quella di mettere ordine in un ipotetico manuale di letteratura, ma, da lettrice, non ci bado mai (se non in negativo, come per i romanzi rosa).
    Se mi stupisca o meno non saprei dire, ma di certo mi lascia molto perplessa che si possa esprimere una qualunque opinione su una raccolta neanche sfogliata, e soprattutto affermarlo senza vergogna.
    Sarei curiosa di leggere queste critiche

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  5. X ha detto:

    Ciao Paolo, innanzitutto lasciami dire che mi spiace per l’amarezza che ti ha lasciato la polemica esplosa nella comunità (o nell’ambiente, o comunque lo si voglia chiamare). Continuo a essere del parere che il curatore avrebbe dovuto mettere in atto tutte le contromisure necessarie a prevenirla. Invece, da certe sue scelte ribadite anche di recente (per esempio in onda su Radio3 a Fahrenheit), traspare una forma di supponenza, come se rivendicare l’estraneità all’ambiente costituisca un punto di merito a prescindere. Intendiamoci, può esserlo, ma non è la regola (e alcuni racconti inclusi lo dimostrano). Di certo il modo migliore per far apprezzare una presunta “diversità” non è cercando lo scontro frontale ma mettendola in relazione con un presunto “canone”, e quindi aprire un canale di dialogo. Cosa che invece è mancata.

    Ribadisco che non ho motivo di credere che l’antologia non comprenda contributi di valore (dalle cose che ho letto di Laura Pugno, di Davide Orecchio o tue, per esempio, mi aspetterei il contrario), ma l’idea su cui si regge l’operazione mi mette a disagio: da quanto si legge nell’editoriale e nei due articoli che accompagnano i racconti, si ha la netta impressione che non esista una fantascienza italiana, o che se mai è esistita è stata inghiottita nel buco nero degli anni ’70. Mi spiace, ma questo ho davvero difficoltà a mandarlo giù. Comunque, per quanto mi riguarda, non c’è nessuna preclusione verso chi ha partecipato al progetto. Magari potrebbe essere l’inizio di una frequentazione meno sporadica e più assidua dei territori del genere: le esperienze portate dal di fuori possono essere linfa vitale, e contribuire ai futuri sviluppi tanto quanto le esperienze maturate nel campo.

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  6. il barman del club ha detto:

    personalmente, quello che mi da fastidio, è che troppo spesso, come diceva Ursula Le Guin, i libri di fantascienza vengono sistemati nella letteratura di genere, mentre al contrario ci sono opere straordinarie che andrebbero collocate negli scaffali della grande letteratura, perché il bravo autore, come hai precisato, spesso se non sempre, ha uno sguardo che vede più avanti di tutti…

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