Ogni epoca ha due o tre parole che la caratterizzano: l’ottocento era carbone e borhgesia, il primo novecento la velocità, il secondo consumismo ed edonismo. Il ventunesimo secolo è crisi e pornografia: non riesco a trovare nulla che descriva meglio, con più precisione, le nostre vite su Internet, i nostri lavori traballanti, l’evoluzione dei rapporti.
Elena Rui, con questo racconto lungo (di una lunghezza giusta, esattamente quella che era necessaria), parla di noi dalla giusta distanza, senza falsi pudori e senza morbosità. Le cose come sono, la tassonomia dei sentimenti. Buona lettura!
Insonnie
Elena Rui
Sono le quattro da mezz’ora; Teresa si rigira fra le coperte, aggrappata a un benessere ormai trascolorato, interrotto dall’improvvisa certezza di sognare. Cerca di riacciuffare sensazioni svaporate, poi si arrende e si mette a sedere sul letto, decisa ad accogliere l’insonnia primaverile con fatalismo: iniziano le notti corte e opporsi non servirebbe. Estrae dalla cartella di cuoio accasciata contro il comodino un pacco di fogli protocollo a righe compilati in corsivo e impugna la matita rossa e blu, emblema della sua autorità sugli autori di quelle copie.
“Nietzsche diceva che i Greci erano superiori perché si erano inventati il dionisiaco e l’apollineo. Era un tipo tranquillo, che leggeva le tragedie, ma una sua amica si era messa a raccontare la sua filosofia dicendo in giro che era un antisemita e così i nazisti lo avevano preso per uno di loro. Questa brutta reputazione è durata un bel po’ di anni e anche dopo la guerra la gente sparlava su Nietzsche dicendo che il nazismo era anche un po’ colpa sua. Ma oggi sappiamo che non è vero”.
Riassumendo moltissimo, non ha torto, si dice Teresa. Sono i compiti che la mettono più in difficoltà: capire ha capito, perlomeno qualcosa, ma lo restituisce con il lessico, la sintassi e la precisione concettuale di un dodicenne, pur avendo diciannove anni. Diciannove. Teresa cerca di ricordarsi cosa facesse a diciannove anni. Leggeva, studiava, aiutava sua sorella a fare i compiti… una nerd direbbero oggi, una sfigata si diceva ai suoi tempi. Matteo, invece, a giudicare dagli apprezzamenti scarabocchiati sui muri e dai cuori recanti le sue iniziali incisi sui banchi delle tre sezioni, è una piccola celebrità al Liceo Ginnasio Statale Giacomo Leopardi.
Come hanno fatto i concetti dettagliati di tre fra le sue migliori lezioni a tramutarsi in quella brodaglia? Qual è il processo? Esiste una fase in cui possa essere arrestato, corretto e innalzato a più alti orizzonti? Matteo è sveglio, sveglio e ignorante, ma ricco abbastanza perché la sua ignoranza non conti; lo era in prima liceo e lo sarà dopo la maturità. Sente di aver fatto poco o niente per lui, proprio come per gli altri: a parte rare eccezioni, la scuola riproduce le compartimentazioni sociali esistenti e Teresa è conscia di averle ricalcate fedelmente. Matteo continua a disprezzare la cultura con il fervore dell’imprenditore veneto inculcatogli dai genitori, Elisa, figlia di un temutissimo collega, è rimasta una secchiona priva di vita sociale, Luca sarà bocciato per la terza volta, perché per la terza volta ha bruciato il venticinque per cento delle lezioni e il restante settantacinque lo ha trascorso a sonnecchiare in ultimo banco. Più grandi, più forti, più belli, ma evoluzioni deterministiche senza originalità di quello che erano dal principio e anticipazioni del tutto prevedibili di quello che saranno. Si è limitata a incollare un Post-it con qualche appunto di filosofia in un’area imprecisata del loro cervello, ma basterebbe una folata di vento per farlo volare via.
Teresa vorrebbe alzarsi, ma teme che i rumori provenienti dalla sua stanza sveglino la sorella. Dalla camera di fronte, situata all’altro capo del corridoio, le giunge impercettibile il suo respiro regolare: dorme con la porta semichiusa, in allerta dalla sua ultima influenza. Da giorni le impone attenzioni amorevoli e inquiete che non ha la forza di respingere: un semplice virus gastrointestinale durato ventiquattro ore è diventato il pretesto per ridurre ulteriormente l’esiguo spazio vitale lasciato dalla loro convivenza.
Teresa ha una tecnica collaudata per non svegliare Alessia: muoversi al buio e tossire per mascherare il cigolio prodotto dalle molle nel momento in cui il materasso viene alleggerito dal suo corpo. Conosce bene la stanza e non rischia di urtare contro qualcosa. Nella sua sedia, al sicuro, di fronte alla scrivania, con la porta finalmente chiusa, accende la luce, apre il portatile, indossa le cuffie e ascolta a un volume prudente una canzone melensa trasmessa da una stazione radio scelta a caso. La lampada arancione a forma di fungo ereditata dalla vecchia casa dei genitori le illumina dolcemente il viso facendo brillare gli occhi neri e i capelli lisci, che prende a pettinare, annoiata. Non ha voglia di continuare la correzione dei compiti di filosofia. Non andrà a scuola l’indomani; Alessia ha ottenuto un certificato medico di sette giorni da un dottorino ebete che le fa la corte: una congiura, una benevola congiura. Si guarda nello specchio di fronte: il suo viso le piace, specialmente con quella luce. Forza un sorriso per controllare il modo in cui la pelle s’increspa intorno agli occhi: ancora nulla di grave, solo piccoli segni cancellati in un istante da un’espressione più seria. Assomiglia alla madre, alla zia, alla nonna, donne mediterranee con occhi profondi e languidi e chiome folte, nere, luccicanti. Porta una canottiera leziosa, tutta pizzi, da cui trabocca un seno generoso.
Giovanni ha sete e caldo e un’incipiente erezione. È sveglio da una buona mezz’ora, e, supino, le braccia lungo il corpo, passa ciclicamente in rassegna le suppellettili della stanza rendendole più nitide a ogni messa a fuoco. Ha lasciato troppi led accesi a consumare inutile elettricità. Si era prefisso un rigore energetico assoluto e un’igiene elettromagnetica irreprensibile, ma non ha spento neanche il wi-fi. Da una settimana si addormenta di colpo piuttosto presto e si sveglia in piena notte in preda a una strana agitazione. Dev’essere il consumo serale di farine bianche: pare sia deleterio per la digestione, il metabolismo e l’invecchiamento cellulare. Veleni autorizzati e addirittura preconizzati. Questo pensiero lo rende ansioso, come gli speciali del Tg 2 Salute sulla prostata o i reportage sulla crisi economica e la disoccupazione: dovrebbe iniziare a mangiare farine integrali o di kamut, ma non riesce ad abituarsi alla consistenza cartonata e al retrogusto di cellulosa.
Forse il sogno che lo ha svegliato era erotico. Ma perché quell’angoscia indefinibile? No, anche se addosso è rimasta solo l’impressione priva di giustificazione, sa che si trattava di un incubo; l’erezione è sopraggiunta dopo, assieme alla noia e alla frustrazione di non riuscire a riaddormentarsi. Si è messo a stuzzicare la libido per sfida, quasi ad accertarsi di essere vivo. Funziona ancora la fantasia della collega Marzolla che in pausa pranzo gli accarezza la patta dei pantaloni sotto al tavolo continuando la conversazione con Ferro e Brandolese. Funziona, ma avrebbe bisogno di un piccolo stimolo visivo… Per quanto si concentri sul ballonzolare ritmico delle sue spettacolari mammelle, il turgore resta timido e poco funzionale. Il fisico ideale, quello delle prime fantasie puberali, Giovanni lo ha ritrovato nella collega Marzolla, la quale, dal canto suo, non prova ostentatamente alcun interesse per lui. Minuta, capelli neri e spessi, occhi scuri e profondi, ma soprattutto soda e procace in un modo che non potrebbe non attirare l’attenzione (nemmeno se non si ostinasse – come invece fa – a portare ampi décolleté e gonne fascianti), Silvia Marzolla è una variazione su tema della prorompente Carlotta, suo primo, dolorosissimo amore. Ne porta addirittura il profumo: un’essenza al caprifoglio in commercio da vent’anni.
Si arrende, si alza, spegne il led del videoregistratore, quello della TV e dell’impianto stereo, prende sottobraccio il portatile, scende al piano di sotto e s’installa sul divano grigio del salotto alla luce dell’abat-jour del tavolino.
Ha voglia di avere voglia. Da qualche mese ha un rapporto intimo, assiduo con un nuovo sito pornografico, di cui apprezza la categorizzazione minuziosa. Non cerca situazioni particolarmente originali – è il corpo, il tipo di corpo a fare la differenza: il seno deve possedere una pesantezza elegante e naturale, il sedere la pienezza di una luna. La volgarità non lo eccita: tutto quello sproloquiare di sfondamenti lo annoia e per questo, una volta scovato il video giusto, lancia lo streaming avendo cura di togliere l’audio. Anche l’uomo deve avere una sua eleganza o quanto meno non essere ributtante. La donna, oltre a corrispondere ai suoi canoni estetici, non può vestire in modo caricaturale, non deve avere le treccine, né farsi passare per una teen-ager, non deve strabuzzare gli occhi in preda a una crisi epilettica, non deve portare scarpe con un plateau ridicolo, né unghie simili a uncini, non deve avere tatuaggi troppo vistosi. La doppia penetrazione, che a vent’anni, costretto alla frequentazione imbarazzata delle videoteche, gli sembrava l’apice della trasgressione, è diventata una routine piuttosto insipida e preferisce due donne che si prendono amorevolmente cura di un solo uomo: più facile immedesimarsi, più soddisfacente immaginare che un giorno possa capitargli davvero. Il successo relativamente recente del genere MILF lo lascia piuttosto perplesso: l’idea di penetrare un’amica over 55 di sua madre continua a sembragli antierotica, ma apprezza che la riabilitazione di questa fantasia offra opportunità a tutte, anche alle donne con forme stanche di competere con la forza di gravità. Le asiatiche gli sembrano delle bambine, le donne velate lo fanno sentire in colpa quanto e forse più di quelle legate o dominate. Ha appreso con stupore da un articolo americano che i generi brutali sono fra i preferiti dalle donne. Non si sognerebbe mai di cliccare su “nani”, “donne incinte”, “feticista”, “pelose”, ed è felice di constatare che il genere bizarre in voga negli anni Novanta, e in cui non si è mai avventurato per paura di assistere a qualche performance zoofila, non esista più.
Poco importa che la navigazione fra glutei, orifizi, lingue e peni eretti sia fruttuosa o meno, Giovanni sa che alla fine del suo periplo proverà una sensazione spiacevole, di assuefazione e disgusto: è la sovrabbondanza e la facilità di accesso a tutto quel materiale che finisce sempre con lo stomacarlo. È un po’ come lo spaesamento ebete che avverte negli immensi ipermercati di periferia: tutti quei detersivi, ognuno con una funzione diversa, tutti quei vegetali esposti contemporaneamente senza una logica stagionale, le angurie con i cachi, l’uva con le fragole… È questo, in fondo, che si aspetta oggi da un supermercato e sarebbe deluso di non trovarci tutta quella roba, ma una volta di fronte agli scaffali prova una vertigine, uno smarrimento, un’urgenza di compiere una scelta rapida e precisa, in conflitto con il blando piacere di tergiversare, di considerare tutto, di testare. Perde sempre troppo tempo nei supermercati, così come davanti ai siti pornografici, perché dopo, più in là, forse, guardando con più attenzione, ci potrebbe essere qualcosa di meglio, sempre.
La pornografia è basata su convenzioni implicite: lo spettatore non deve chiedersi se la ragazza avvitata a un pene mostruoso riesca a provare una qualsivoglia forma di piacere nella posizione acrobatica in cui si trova. È necessario sospendere il giudizio, fare “come se fosse vero”, ma questo processo, invece di acuire la sua fede in cose indimostrabili ha reso Giovanni sempre più scettico: di vero, forse, non c’è proprio niente, nemmeno la ragazza, nemmeno i suoi seni, la sua vagina, il suo fondoschiena offerto, il mascara sciolto.
“Oggi non funziona proprio.”, pensa alzandosi dal divano per prepararsi una tisana. Alla luce dell’abat-jour, l’appartamento ha un’aria ordinata e pulita che lo rilassa. Il giorno non si è ancora levato sulle briciole che nessuno ha raccolto, né sulle poche stoviglie nascoste nel fondo del lavello.
Non vuole rinunciare subito: è comunque una mezza erezione, un evento non trascurabile negli ultimi tempi. Qualche settimana prima, su consiglio del suo amico Tiziano, ha creato un conto su uno strano sito, che non ha mai avuto il coraggio di frequentare; ma forse quella è la notte giusta, perché si sente in bilico fra l’euforia e la disperazione.
Si risiede sul divano e cerca di ricordarsi la password lambiccata che ha fornito giorni prima per creare l’account. Ecco, funziona, vede la sua faccia sullo schermo, ma spegne subito sconcertato: ha bisogno di una pettinata e di una luce più clemente. Torna dal bagno con i capelli umidi e disciplinati e orienta lampada e webcam in modo che non evidenzino i dettagli del viso come in un esame dermatologico.
Giovanni non sa cosa cerca, ma sa esattamente cosa non vuole trovare e si tiene pronto con il dito sul pulsante sinistro del mouse per evitarlo: un uomo nudo, con il pene eretto, che lo fissa dritto negli occhi, ecco cosa non vuole. In un film porno un attore che guardasse in camera sarebbe destabilizzante per lo spettatore; perché una persona reale, uno sconosciuto, dovrebbe esserlo meno? Sfilano visi anonimi, perlopiù uomini, poche donne che non gli ispirano nessun interesse, né sessuale, né umano. Salta in modo talmente rapido da una webcam all’altra che si accorge solo troppo tardi di aver scartato due ragazze seminude e ammiccanti. Troppo nude e troppo ammiccanti, forse. Come presentarsi a una venticinquenne in perizoma che si titilla con improbabile nonchalance i capezzoli? Inutile, è vecchio per queste cose e si sente ridicolo. Dovrebbe andare a letto e tentare di dormire. Poi, d’un tratto, l’irreparabile: ha incrociato tre erezioni di seguito, una attaccata a un body builder con un cappello e una maschera da zorro, le altre due banalmente ancorate a corpi svestiti. Fisici da impiegati di banca gli viene da pensare, anche se non ha mai visto un impiegato di banca nudo. Esce dalla video-chat, ma non si sconnette subito. Scopre con sollievo che è possibile consultare i profili off-line e perfino fare delle ricerche: donna, ’età compresa fra i 25 e i 35, meglio se di un’altra città, di un’altra regione dalla sua, di un altro pianeta se possibile. Sembrano tutte belle nelle foto di profilo. Perché sono così insignificanti in chat? E poi, all’improvviso, un tuffo al cuore: la collega Marzolla. Che possa aver finto di vivere a Treviso e aver scelto come pseudonimo Erato? Ma no, non è la collega Marzolla… Le assomiglia molto però… Erato… Che diamine vuol dire? Sembra un nome da maschio… Ci mancherebbe solo un trans. Trentacinque anni, nubile, interessi… letteratura classica? In che senso “classica”? Cinema d’autore… Truffaut? Rhomer? Boh. Fellini lo conosce, ha visto La dolce vita e si ricorda pure qualcosa, dovesse servire…
Ciao, sei molto bella. Hai un profilo piuttosto atipico per questo “posto”, Erato… A che ora ti si può trovare in chat? Forse non alle cinque del mattino…
Si alza per prepararsi un’altra tisana. Immerge la bustina e abbraccia con uno sguardo soddisfatto il salotto: è riuscito bene, moderno senza essere freddo. Mentre sorseggia prudente, è sorpreso da un campanellino, un suono inatteso che capisce provenire dal pc. Si risiede sul divano. Erato ha risposto:
Mi si può trovare anche alle cinque del mattino, a volte. Bella la foto del tuo profilo. Dov’eri?
Ciao Erato! In Sardegna, quest’estate. Ci vediamo in chat?
E cosi Giovanni scopre che Erato è un nome mitologico; non di un guerriero barbuto, ma di una musa. E scopre anche che Erato è una professoressa di storia e filosofia e che reagisce alle sue battute con una risata franca e materna che le scuote il decolleté generoso. Teresa si stupisce di ridere tanto con uno sconosciuto e si chiede se Giovanni non voglia davvero solo chiacchierare. Inizia a sentirsi a suo agio, a smettere di domandarsi come gestire il gioco fino in fondo, se dovesse chiederglielo. Giovanni dice a Erato che ha un bel viso, belle labbra e capelli meravigliosi, strappandole un sorriso timido che lo eccita. Non osa ancora parlarle del seno, ma ci pensa, lo sbircia, lo desidera. Teresa abbassa le bretelle della sottoveste e Giovanni si sente turbato come un adolescente. Denuda prima un seno e poi l’altro mostrando il contrasto fra l’areola grande e violacea e la pelle più chiara. Teresa è vera, è una vera donna e si sta offrendo a lui: “la pornografia non potrà mai competere con questo” pensa soddisfatto e ringrazia in cuor suo l’amico Tiziano che lo ha convinto a fare quell’esperienza.
Giovanni è incerto sui codici: l’erezione che gli sta sollevando l’elastico dei boxer è cosa da condividere? quando? cosa le deve dire?
– Mi ecciti, non sai quanto mi ecciti…
– Mostrami…
Ha detto “mostrami”: vuole vederlo. E per un attimo si sente un sedicenne alle prime armi, paralizzato da considerazioni sulla lunghezza, la grossezza, l’angolo d’inclinazione… Solo la vista, nessun’altro mezzo per eccitarla, né le mani, né le braccia, né la bocca… Si guarda preoccupato fra le gambe: normodotato, dovrebbe andare… nessuna si è mai lamentata, ma magari la webcam rimpicciolisce… Deve abbassare la telecamera?
– No, no mettiti in piedi, togli la maglietta… Bravo… Bravo, così…. Sei fatto bene… Continua, continua…
Giovanni l’accontenta confuso. Non pensava che una donna potesse provare piacere in quel modo. Per un po’ il turbamento di quella scoperta lo eccita tenendo lontano il senso del ridicolo, ma trascorso qualche minuto prova sospetto e imbarazzo: per quanto tempo dovrà continuare? Non lo starà prendendo in giro? Respira affannosamente e sembra intenta in qualche carezza autoerotica dissimulata, ma se fosse tutta una farsa? uno scherzo di Tiziano? Se i suoi amici saltassero fuori all’improvviso ridacchiando?
– Adesso tu – dice bruscamente rimettendosi a sedere.
Teresa si blocca di netto, si riaggiusta alla meglio la sottoveste sul seno e avvicina la mano alla webcam. Ora Giovanni non vede che il suo palmo aperto.
– Ehi, che fai? Spegni? No, non spegnere! Aspetta! Non importa se non vuoi, non importa…
La mano si blocca, esita, poi ritorna a posarsi sulla scrivania lasciando libero il campo visivo. Il volto, le spalle, il décolleté disfatto riappaiono al centro dello schermo.
– Va bene anche così. Sei stupenda, sai? Ti sei arrabbiata? – chiede in un sorriso conciliante.
Teresa scuote la testa.
– Stai serena, ok? Non ti va, ti vergogni? Sai… anche per me è strano, non l’ho mai fatto prima. Ti vergogni?
Fa di nuovo cenno di no con la testa.
– Allora dimmi, cosa c’è? Sono andato troppo in fretta?
Da seduta, continuando a fissare la telecamera, Teresa indietreggia scivolando, senza produrre rumore. Giovanni non ha il tempo di processare come anomalo il movimento fluido e privo di attrito con cui l’immagine si allontana dallo schermo, che già un dato visivo irrefutabile lo costringe a capirne la ragione: due grandi ruote appaiono ai lati della sedia. Il palmo si rifà vicinissimo alla webcam e la spegne. Qualche secondo dopo, Erato non è più on-line. Giovanni fissa lo schermo inebetito. Poi si alza e cammina per il salotto. Così sensuale, così composta, così… normale. Gli era sembrato d’incontrarla in uno spazio reale, di…di…di… È turbato: il passaggio dall’eccitazione alla sorpresa è stato brusco. Trema, imperlato di sudore freddo. Gli è successa una cosa irraccontabile. Si prepara una terza tisana.
Una musica petulante lo sorprende con la bustina a mezz’aria e lo sguardo stravolto. Proviene dalla camera: sono le sette e se non avesse preso un giorno di riposo dovrebbe alzarsi e catapultarsi in bagno per la barba. Posa il sacchettino con l’infusione accanto alla tazza e sale al piano di sopra.
Ma la sveglia ammutolisce proprio mentre Giovanni si rimmerge nella penombra. Immobile, fissa confuso il piumino ripiegato sulla metà vuota del letto. Nell’altra, una massa oblunga si alza e si abbassa impercettibilmente. Gli occhi ormai abituati all’oscurità individuano un braccio ancorato al comodino e una mano posata sul cellulare da poco ridotto al silenzio. È una giovane mano di donna con dita eleganti, unghie curate e una sottile fedina di brillanti che non può indovinare nella semioscurità ma che sa a quell’anulare da quattro anni e un po’ lasca. Si siede dal lato occupato del letto e abbassa il piumino per studiare il profilo addormentato, le linee perfette, angeliche, i ricci biondi sparsi sul cuscino, il caro broncio cocciutamente chiuso nel sonno. Poi compie il gesto che sempre gli ispirano i lineamenti puliti di quel volto: vi posa delicatamente le labbra. Sulla fronte.
Elena Rui, nata a Padova nel 1980 e laureata in Lingue straniere per la comunicazione internazionale vive in Francia da undici anni, attualmente a Parigi. In Francia — prima ad Albi, poi a Tolosa e infine a Parigi — ha sempre lavorato fra l’insegnamento dell’italiano e la traduzione/redazione di contenuti per il web, per poi consacrarsi completamente a quest’ultima.
Nel 2013 ha vinto il Premio Malerba con la raccolta di racconti Fiale, pubblicata dalla MUP di Parma l’anno successivo. Fra i giurati del premio i critici letterari Paolo Mauri e Walter Pedullà.
Bello e coinvolgente. Complimenti.
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