Lo sforzo di scrivere

“Ecco il mio problema: ogni volta che mi metto davanti a un foglio vuoto e cerco di scrivere qualcosa, nonostante la mia concentrazione sia massima, non ne esce nulla, capisce? Neppure una riga, neppure una parola. Eppure io mi concentro, mi creda. Io mi sforzo”.
“Vede, Eugenio, alla base della sua stitichezza letteraria – mi scusi se mi permetto di parlarle in questo modo ma non trovo una parola più adatta – c’è un errore di fondo nel modo con il quale guarda alla scrittura”.
“Dove sbaglio?”
“Scrivere assomiglia a quei pensieri liberi che si fanno durante una passeggiata in campagna, mentre si guarda la punta di un campanile in lontananza, si tira un calcio a un sasso, o si osserva la strana forma di una montagna all’orizzonte. E’ un atto misterioso che non riguarda lei direttamente: succede mentre lei è intento a fare tutt’altro. Ascolti la radio, mentre scrive; si metta in piedi davanti al foglio e con il piede segua il ritmo del canto sguaiato della lavandaia in giardino; segua una venatura del legno del tavolo sul quale si è appoggiato e immagini il bosco dove quell’albero generoso è cresciuto. Le parole che scrive non sono sue. Escono da lei, su questo non c’è dubbio, ma non le appartengono; non più di quanto le appartiene l’aria che espira, o il sudore che le imperla la fronte dopo una lunga corsa. La concentrazione – e spero che lei segua il mio consiglio – la conservi per quel momento del giorno in cui è la stessa natura a richiederla”.

(Pietro Veronese, Questa nuova epoca, Pirano editore, 1938)

latrina

(L’immagine di copertina è una foto della campagna toscana realizzata del fotografo Silvano Poggiani: questo il suo sito)

 

 

9 commenti Aggiungi il tuo

  1. Michele Scarparo ha detto:

    Non sono d’accordo. Questa estetica romantica per cui scrivere è “ispirazione” (qualsiasi cosa questo possa voler dire) è del tutto falsa; scrivere non è questione di concentrazione né di rilassamento, quanto di progettazione. Proprio come per tutti gli altri artisti. Ma davvero siamo convinti che scultori e musicisti, per fare un esempio, si mettano davanti alla materia della loro arte senza un’idea costruita in lunghe ore di progettazione fin nei minimi dettagli? Che le pieghe della veste della Nike di Samotracia siano scompigliate da un vento a caso? Che l’entasis e la curvatura dello stilobate del Partenone siano nate lì per lì, mentre Fidia guardava una venatura del marmo? Che una sonata di Mozart gli sia sgorgata dalle dita per un qualche disegno misterioso?
    Il pensiero semplice (fatti un giro e qualcosa scriverai) non ha mai prodotto nulla di complesso, garantito. Seguire il richiamo della natura porta invariabilmente dentro quella magnifica toilette; il prodotto di tale richiamo è merce assai comune e di poco valore. 🙂

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Io credo che la questione sia più sottile…. Qui si parla dell’atto finale dello scrivere – il momento in cui, dopo aver ponderato, valutato, progettato, ci si mette davanti a un foglio bianco e si inizia.
      Di recente ho letto un libro uscito l’anno scorso, scritto da un neuroscienziato, dove si spiega come il cervello, per raggiungere la concentrazione migliore, debba essere disturbato dall’ambiente esterno. In America si sta valutando l’utilizzo di rumore (parlo proprio un frastuono intorno ai 60 db) come terapia per aiutare i ragazzi con un disturbo dell’attenzione.
      Poincaré riuscì a intuire la formula che poi lo rese celebre una domenica mattina, mentre saliva sul predellino di un treno che l’avrebbe portato in campagna da sua suocera. Cartesio ha formalizzato la sua geometria analitica mentre, fuggendo da una battaglia, si era nascosto dentro a una stufa. Archimede enuncia il principio che porta il suo nome mentre è alle terme. Newton intuisce la forza di gravità mentre riposa sotto un albero. Simenon, che scriveva un libro al mese, dedicava la prima settimana all’ideazione della storia: per farlo, camminava dieci o dodici ore per la campagna. E via dicendo. Tutte queste grandi menti avevano un background enorme, e un talento superbo nelle loro discipline, e avevano lavorato per anni per ottenere certi risultati; ma l’intuizione spesso si presenta nel momento in cui la mente è distratta da altre cose… Qui non dice di scrivere mentre si cammina in mezzo ai boschi: si dice che la scrittura assomiglia a quei pensieri in libertà che si fanno quando si è impegnati in altre cose. Non viene messa in discussione la progettualità che sta dietro a un’opera d’arte, ma il fatto che l’atto esecutivo debba essere compiuto in uno stato di concentrazione totale. Mozart, che citi, era solito scrivere le proprie opere “sur place”: i fogli appoggiati a un tavolo da biliardo, lui in piedi, una palla da biliardo lanciata contro una sponda e ripresa dopo quattro rimbalzi – la scena di Amadeus in cui il musicista scrive in questo modo è ispirata a un fatto reale!

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      1. Michele Scarparo ha detto:

        Sì, detta così la cosa è diversa. Sul fatto che certe idee escano nel momento in cui non si stanno coscientemente cercando (ma in cui la nostra mente è comunque estremamente focalizzata sul problema) non ci sono dubbi: lo abbiamo sperimentato un po’ tutti.
        Quanto all’atto finale dello scrivere: hai mai sentito parlare dello stato di flusso e di Csikszentmihàlyi, che per primo lo ha studiato negli anni ’50?

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        1. Paolo Zardi ha detto:

          No, mai sentito, ma mi interessa! Di cosa parla?

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          1. Michele Scarparo ha detto:

            Faccio prima a mandarti qui, dove è spiegato bene:
            http://inchiostrofusaedraghi.blogspot.it/2016/03/scrittura-e-stato-di-flusso.html

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      2. gaberricci ha detto:

        Se la metti così sono d’accordo, e anzi mi sembra che tu e Michele stiate dicendo la stessa cosa. Purtroppo, è un’opinione diffusa che per praticare qualunque arte la cosa più importante sia “farsi venire l’idea”.

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        1. Paolo Zardi ha detto:

          C’è una bella intervista di Philip Roth, mai pubblicata in Italia (ma c’è tradotta qui su Grafemi…), nella quale si parla proprio di questo.

          Domanda: “Intende farci credere che questo imprevedibile romanzo di confessioni sessuali [Lamento di Portnoy], è stato concepito sulla base di sole motivazioni letterarie?”

          Philip Roth: “No. Ma il concepimento è nulla, rispetto alla realizzazione. Il mio punto di vista è che finché le mie “idee” – sul sesso, la colpa, l’infanzia, sugli uomini Ebrei e le loro donne Gentili – non sono state assorbite da una strategia e da un obiettivo di tipo narrativo, queste idee non erano diverse da quelle di chiunque altro. Tutti hanno “idee” per un romanzo: la metropolitana è intasata da persone appese alle cinghie, con la testa piena di idee per un romanzo che non sono in grado nemmeno di iniziare a scrivere. Spesso, io sono uno di loro.”

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          1. gaberricci ha detto:

            Ho letto l’intervista:-), e condivido il punto di vista di Roth.

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  2. Simone Bachechi ha detto:

    bello lo stato di flusso!!! un po’ come stare in una bolla, qualcosa del genere lo spiegava Victor Hugo parlando proprio della letteratura, non c’entra ma c’entra direbbe Nanni Moretti. Cito testualmente: “nessuno ignora che cosa sia il punto velico di una nave; luogo di convergenza, punto di intersezione della nave, in cui si sommano le forze disperse su tutto il velame spiegato”

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