La qualità misteriosa

Qualche notte fa ho sognato che al lavoro si parlava di libri – un evento che, nella vita reale, non è del tutto remoto, grazie alla presenza di due lettrici serie e appassionate. Nonostante la confusione che pervade la maggior parte di queste esperienze notturne (nel caso specifico, l’ufficio assomigliava più alla scuola di mio figlio dove due o tre settimane fa abbiamo fatto una riunione che all’open space dove passo la maggior parte del mio tempo produttivo), non sono state dette scemenze; a un collega, ad esempio, ho raccontato l’intera trama di “Fuoco pallido” di Nabokov, che non è particolarmente semplice, e ricordo di essere stato preciso, sebbene avessi l’impressione che l’impresa fosse incredibilmente faticosa, come quella di uno che cammina con le gambe immerse nel fango. Poi ho stilato la classifica dei miei libri preferiti e anche in questo caso, rivedendola da sveglio, non posso che condividerla: c’erano quasi tutti quelli che contano, e nessun intruso.

Questi libri, pochi rispetto alla gigantesca mole dei libri che ho letto nella mia vita, possiedono qualità soprannaturali. Non sono più belli degli altri: appartengono proprio a un altro mondo, sono fatti di un’altra sostanza. E’ come con l’amore: nel corso della vita, conosciamo diverse persone, ci pare di innamorarci di alcune di queste, ma poi è una sola quella che sposiamo. Questi libri sono l’equivalente di Dunja nel mondo letterario. I libri della mia lista sono quelli che potrei sposare. Li elenco in ordine casuale, come quando nei talent annunciano i nomi di chi ha passato il turno.

  • Lolita, Vladimir Nabokov
  • Madame Bovary, Gustave Flaubert
  • Pastorale Americana, Philip Roth
  • Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Julian Jaynes
  • Il teatro di Sabbath, Philip Roth
  • L’insostenibile leggerezza dell’essere, Milan Kundera
  • Viaggio al termine della notte, Céline
  • Le avventure di Augie March, Saul Bellow
  • Il mulino di Amleto, Santillana e von Dechend
  • L’informazione, Martin Amis
  • Cuore di tenebra, Joseph Conrad
  • Canti, Leopardi
  • Amleto, Shakespeare
  • I racconti, Anton Cechov
  • L’uomo senza qualità, Musil
  • Le correzioni, Johnathan Franzen

Ci sono altri libri che sono a un passo dall’entrare in questa lista – opere immense verso le quali, però, nutro qualche piccolo dubbio, incertezze minime ma comunque non eludibili. L’esempio più clamorso è “Il processo” di Kafka che ho amato moltissimo, ma che con il tempo ho finito per ridimensionare: è gigantesco ma, e qui verrò colpito da un fulmine, non “è scritto tanto bene quanto vorrei”. Credo sia l’opera assoluta di un genio, ma ogni volta che ho provato a rileggerlo mi sono fermato presto. Si va avanti a fatica. C’è un’idea incredibile, e un mondo intero rapppresentato da uno scrittore sovrumano; tuttavia, sulla singola pagina, sul paragrafo, Kafka non è il gigante che mi aspetterei. In altre parole, non consiglierei a nessuno di scrivere come lui.
Un discorso analogo si potrebbe fare per “1984” di Orwell. Non ho dubbi che sia un capolavoro. Ma anche qui conta più l’idea grandiosa che ci sta dietro, che la tecnica con la quale è stato realizzato. Altro fulmine in arrivo, lo so.

David Foster Wallace potrebbe tranquillamente entrare nella lista, ma c’è un problema: con quale libro, esattamente? “Infinite jest” è sproporzionato, “Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso” è noioso, “La scopa del sistema” superinteligente ma sostanzialmente inutile. Anche il meraviglioso “Brevi interviste con uomini schifosi” ha degli eccessi che stridono. Lui è uno scrittore immenso, ma solo se preso nel suo complesso, sommando cioè saggi, racconti, discorsi e pezzi di romanzo. Forse potrei inserire “Considera l’aragosta”, che è la cosa più completa e perfetta che abbia scritto, anche talora è se troppo legato alla contingenza.

BorNessun italiano, è vero, a parte Leopardi – un’eccezione che conferma la regola. Ne tirerei dentro volentieri qualcuno. “La coscienza di Zeno” mi era sembrato di un livello superiore a mille altre cose ma ad un certo punto perde quota, si sgonfia, non arriva da nessuna parte. Siamo a livelli altissimi, me ne sono innamorato, ma non mi è mai venuta voglia di fargli una proposta di matrimonio. No a Pasolini, più saggista e politico che scrittore. Poi, entra in gioco la mia ignoranza: conosco pochissimo Calvino, non ho mai letto Moravia; Fenoglio l’ho letto prima dell’età della coscienza; Pratolini mi piaceva, ma ero ragazzo; Rigoni Stern mi era piaciuto ma non lo rileggerei. Forse Goffredo Parise? Devo leggere Pontiggia, che non conosco ma sento affine. Ultimamente sto leggendo molti italiani, tutti contemporanei: Aloia, Pecere, Sgambati, Pezzoli, Manuppelli, Gambolati, Cognetti, Bortoluzzi, Covacich, De Paolis, Anania, Gonella, Mercadante, Cristò. Devo lasciare passare un po’ di tempo, però.
Ci sarebbe anche “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Enorme, immenso, imprescindibile. Ma gareggia, a mio parere, in una categoria diversa, assieme a “Il diario di Anna Frank”, che ho riletto qualche anno fa e che mi ha commosso fino alle lacrime (ricordo bene la prima lettura, alle elementari, credo, o in prima media – rivedo la mia cameretta di allora, la grande finestra affacciata sui tetti di Padova, il grattacielo del centro sulla sinistra, il Cupolone del Carmine in lontananza, i tramonti, l’insostenibile tristezza di quella lettura… ogni libro è associato a un luogo – “Pastorale Americana” finito una mattina, alle sei, nella cucina della casa di Gorgonzola, la lettura de “Le avventure di Augie March” portata avanti mentre aspettavo che Jurij finisse di giocare a calcio, io seduto su una panchina gelida, in autunno, “L’informazione” sulle scale di un appartamento a Grado pieno di figli miei e altrui….).

Altra grande esclusa è sicuramente Flannery O’Connor – un’uscita che risale a meno di un mese fa. La consiglio spesso a tutti, e quando me lo domandano la inserisco sempre nella lista dei miei autori preferiti. Nelle ultime settimane mi sono messo a rileggere (credo per la terza volta) la raccolta che contiene tutti i suoi racconti, ed è emerso qualche dubbio. Un po’ alla volta, si finisce per scorgere una certa “maniera” nella costruzione dei racconti, nel modo di arrivare al finale… Anche il gusto per la provocazione a tratti mi è sembrato datato. Però alcuni dei suoi racconti rimangono tra le cose più belle mai scritte. Se sta fuori dalla mia lista, è davvero per pochissimo.

Cos’altro? Le prime cento pagine di “Grandi speranze” di Dickens sono un autentico capolavoro, così come almeno la metà dei capitoli di “Casa desolata”. “Il giovane Holden” di Salinger è stato per diverso tempo dentro alla lista ma ora sono troppo vecchio, troppo smaliziato per poterlo amare alla follia.
Tra gli outsider, quelli sui cui punto, sono abbastanza fiducioso che prima o poi troverò qualcosa di Bolano che mi farà perdere la testa; così come succederà con Updike, del quale ho letto solo “Villaggi”, che mi è piaciuto molto, e che potenzialmente (da quello che dicono Philip Roth e Franzen) potrebbe aver scritto qualcosa di immenso.
Per non so quale assurdo motivo, sento che Gunter Grass ha scritto un capolovoro che io non ho letto e che mi travolgerà. Forse un libro di Banvielle. Potrei ricredermi su Ian McEwan, che ho amato molto e che alla fine mi ha stufato. Non mi convince Julian Barnes. Non ho mai letto John Self. Dovrei riprendere in mano Tristram Shandy di Sterne e arrivare fino alle fine; leggere il Don Chisciotte che mi ha regalato mio padre qualche anno fa.

E poi? C’è qualcuno che ha un capolovoro da consigliarmi?

Buon Natale!

8 commenti Aggiungi il tuo

  1. Silvano Spaziani ha detto:

    Io ho amato moltissimo “Il giuoco delle perle di vetro” di Hesse, ma forse non è il tuo genere. E poi “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Pirsig e anche “Lila” che è il suo seguito, si può dire (scritto vent’anni dopo). E Calvino dovresti leggerlo davvero, magari “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Buon Natale a tutti!

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Ho letto Il giuoco delle perle di vetro nell’estate del 1985, a Copenaghen, con una gamba ingessata: ero troppo giovane per capirlo fino in fondo, potrebbe essere qualcosa che riprenderò in mano tra qualche anno. Calvino sì, devo recuperare… un abbraccio e buone feste!

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  2. alessandro ha detto:

    Io sposerei l’intera tua lista (e diversi fuori lista), salvo qualche titolo che non ho ancora letto e Kundera, che non riesco ad apprezzare. Tra gli assenti stranieri mi viene in mente Cormac MacCarthy, che verso cui nutro un’enorme attrazione e che trovo quasi disumano per come unisce precisione e limpidezza a un’estrema, mai manierista, ricchezza dello stile (in particolare Suttree). Tra gli italiani assenti penso a Moresco, ma alle prime cose in particolare, Gli esordi e il primo volume di Canti del Caos, due libri che su di me hanno avuto un impatto emotivo fortissimo.
    Un saluto e buone feste.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Di Cormac McCarthy avevo letto La strada, che mi aveva devastato. È un grande, senza dubbio. Di Moresco non ho mai letto nulla, rimedierò.
      Buone feste anche a te!

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  3. Amanda ha detto:

    Non sono mai stata in grado di stilare classifiche di ciò che leggo. A volte è uno stile narrativo a catturarmi, a volte una trama, a volte la grandezza di un personaggio, a volte la costruzione del racconto. Mi bevo di slancio o sorseggio, a volte addirittura centellino. Non riesco a rileggere quasi mai

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      Per me invece la rilettura è fondamentale, ed è forse il criterio che sta sotto questa “lista”: vale la pena rileggerlo? Serve? Se è sì, allora è un libro che considero fondamentale per me. Un abbraccio!

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  4. Lucy the Wombat ha detto:

    D’accordissimo su Kafka e Orwell, idee geniali ma stai male più per l’idea che per la singola pagina. Non ho letto tutti i libri che citi, ma concordo pure sulla supremazia assoluta di Lolita e Madame Bovary, però il testo per il quale mi sono sentita in dovere di commentare è il Ritratto dell’artista da giovane. Per me è stato qualcosa di immenso (come tutto Joyce, ma questo è il più equilibrato).

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  5. sergio ha detto:

    Mi colpisce molto vedere il saggio di Julian Jaynes… visionario, ricco, scritto benissimo, ma non immaginavo di trovarlo nella tua lista. Facendo il paio con il libro di Santillana (di cui invece ho letto solo la recensione) forse capisco meglio perché… credo che abbia a che fare con il desiderio di comprendere “scientificamente” quella cosa che si chiama coscienza, con il sospetto che sia composta essenzialmente di racconti. Su questa linea mi vengono in mente un paio di libri: uno di Walter Ong, Oralità e scrittura, e L’istinto di narrare, di J. Gottschall. Interessanti, ma non da classifica, direi… Per il resto forse anch’io avrei messo McCarthy o Saramago (Cecità o il Vangelo). Tra gli italiani ho amato molto Moravia, ma non credo che inserirei un suo libro in una lista di immancabili. Parlando di Moravia mi viene in mente Sartre, Le parole, e forse forse quello ce lo metterei. Saluti, e buon anno di letture!

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