La gente non esiste

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Nell’ultimo saggio di Philip Roth uscito in Italia, dal titolo “Perché scrivere?” (e d’altra parte: perché non scrivere? Cosa potrebbe frapporsi tra il proprio desiderio e la sua realizzazione? Chiedetelo a cento persone che non scrivono e novantacinque vi diranno che il problema è il “tempo”), nella prima parte, che è la traduzione di “Reading myself and Others”, il grande scrittore di Newark dice qualcosa a proposito del generale e del particolare: ora sono troppo pigro per alzarmi e andare in camera per recuperare quel pezzo, e troppo rilassato per sentire il bisogno di essere preciso – in fondo, conta ciò che tratteniamo e facciamo nostro – ma se non ricordo male il senso era che la sociologia, la storia, la psicologia, la politica (forse lui diceva solo quest’ultima, ma in fondo è lo stesso) si occupano del caso generale, mentre la scrittura non può che guardare il particolare, il caso singolo, la persona.
E’ più o meno questa l’idea che sta dietro a tutti i miei racconti: non la gente, e neppure l’Uomo di Destra, il Buono, la Donna Frustrata, il Vedovo, la Madre, l’Italiano, l’Infelice, il Traditore, ma un tizio che, dopo aver perso la vista, capisce che sta punendo la sua compagna infliggendogli la pena di accudirlo, o un altro che sospetta che la mamma, ormai ottantenne, parli con l’aldilà attraverso una botola spaziotemporale ai margini del suo giardino; o una quattordicenne che pensa al proprio futuro mentre si colora le unghie in spiaggia.

Ne “Lo squalo” c’è una scena memorabile: scatta l’allarme, lo squalo ha aggredito uno dei bambini che nuotava nel mare. Le mamme, questa massa informe di corpi indistinguibili, corrono disperate verso il bagnasciuga, e piangono di commozione non appena riescono ad abbracciare i loro piccoli, tutti uguali tra loro. Alla fine, ne rimane solo una. Nella crudele lotteria della morte, nel dead pool che è la natura, è uscito il suo numero; e improvvisamente quella donna si solleva dalla massa e diventa un essere umano unico e irrepetibile, con un peso che non la lascerà più. L’occhio di chi scrive sarà sempre rivolto a quella donna, e al preciso momento in cui tutto è cambiato; e trascurerà di prestare attenzione alla gente senza volto, informe, priva di voce e lineamenti – quella massa che ha attraversato in silenzio la storia del mondo.

Per questo, la gente non esiste. E’ una raccolta di racconti – ventisette. E’ uscita con la Neo, perché quella era la loro casa – perché quella è la mia casa. Il giorno che è stata annunciata la sua uscita, ecco cosa ho pensato: non che ero tornato a pubblicare con loro, ma che la Neo si era ricostituita – un pensiero presuntuoso, che non corrisponde alla realtà; però non è che posso decidere cosa pensare: l’ho pensato, e un motivo ci sarà. Alcuni dei racconti sono comparsi in questo blog, magari in una forma diversa (ma molti di quelli che sono usciti qui, là sono stati lasciati fuori). Cosa li tiene insieme? Una certa dolcezza di fondo. Con l’età sto iniziando ad apprezzare la serenità. Dieci anni fa, quando ho iniziato, ero incuriosito dalla morte, come Joseph Conrad quando, ancora piccolo, ancora polacco, guardava la carta dell’Africa e si chiedeva cosa nascondesse quel cuore di tenebra là in mezzo. Ora, il mistero per eccellenza non si è risolto: so solo che, statisticamente, si è fatto un po’ più contingente, e come tutte le cose che si possono vedere da vicino ha perso parte del suo interesse; o forse mi fa così tanta paura che volgo lo sguardo verso ciò che ho di bello. Fino a qualche anno fa, se mi svegliavo con il mal di schiena iniziavo a pensare a un nuovo racconto: “Era ottobre quando, per la prima volta, avvertì un dolore tra le scapole. Non è niente, aveva pensato, ma sei mesi dopo, mentre il dottore gli comunicava che gli restava meno di un anno di vita…..”; ora invece, è più probabile che faccia un salto dal dottore.
A un certo punto finirò, finiremo, finirete – è così che va il mondo – e me lo sono segnato da qualche parte, come Troisi in “Non ci resta che piangere”; però adesso mi dico: ok, ma intanto che aspettiamo la morte, che si fa di bello? Lo diceva anche Ungaretti:

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.

Ecco, ne La gente non esiste  ci sono le lettere d’amore di un uomo prossimo ai cinquant’anni, che da una specie di trincea sussurra al mondo che non è mai stato tanto attaccato alla vita. Dopo mezzo secolo passato da questa parti, sono diventato ostinatamente, pervicacemente felice. E voglio assaporare ogni momento di questo mio tempo.

6 commenti Aggiungi il tuo

  1. Caterina Blum ha detto:

    La pagina mi è piaciuta. Bella e semplice, nel senso di limpida.

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  2. Quello che dici in questa pagina si respira nei racconti.

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  3. Simone Bachechi ha detto:

    Complimenti Paolo. Ovvio che la gente non esiste e che il tuo ultimo sia nella mia lista perché la scrittura, la propria o di altri penso in fondo faccia poca differenza, sia come la bava delle lumache, come ha detto Samuel Beckett, quella cosa che ci permette di andare avanti.

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    1. Paolo Zardi ha detto:

      che bella questa definizione!

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  4. Ernest ha detto:

    Complimenti per il libro! Mi vengono in mente le situazioni in cui parliamo della “gente” come se fosse lontana anni luce da noi, una sconosciuta che non esiste sostanzialmente.

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  5. Amanda ha detto:

    Mi pare un ottimo proposito. Tornerò a leggerti

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