La collezione, di Claudia Acquistucci

02-GC-Interno-LimerickI racconti dalla libreria Limerick non sono ancora finiti! La clausura si è fatta meno severa e ora possiamo uscire, girare in bici e, tra poco, pure tagliarci i capelli (chi ce li ha: la fase 2 non ha risolto anche i problemi di calvizie), ma non possiamo ancora vederci nei luoghi piccoli e raccolti. La libreria Limerick di Padova, dove ci siamo incontrati per due anni, in autunno e primavera, dove abbiamo mangiato panettoni, frittelle e colombe, è una stanza di 24 metri quadrati – ci sono stati incontri in cui eravamo in 18, là dentro. Certe magie ora sono vietate. Ma scrivere, quello possiamo continuare a farlo.
Limerick-1600x1063Claudia Acquistucci è avvocato, nella sua seconda vita; nella prima, scrive per passione e legge libri molto interessanti. Poiché è una persona dall’aspetto mite, quando ci ha letto questo racconti ci siamo sistemati un po’ sulle sedie – e questo è sempre un buon segno. Per tutti noi, questo è il racconto dell’ugola, e se lo leggete capirete perché.


immagine profilo WarHole 03Le foto sono del nostro amico Christian Baldin al quale va sempre il nostro ringraziamento!


La collezione
di Claudia Acquistucci

Il barattolo Bormioli da 500 ml è in dispensa, nascosto dietro la fila di succhi di frutta, tra le lenticchie e il miele. Il suo contenuto è un grumo rosa in un liquido trasparente.
Filippo, nove anni e cresciuto senza padre, è un bambino goloso: ha capelli biondi finissimi del colore delle spighe, sopracciglia lunghe e sottili, un naso che sembra un cucchiaino da caffè al contrario, e grandi occhi celesti che nascondono una voragine di continua fame. Essendo molto alto per la sua età riesce a mascherare piuttosto bene la pancetta che costringe sua madre a comprargli vestiti per dodicenni. E’ curioso e gli piace provare ogni tipo di cibo. Dice che da grande vuole fare l’assaggiatore.
Sta cercando qualcosa per fare merenda.

Rachele è una donna che ha imparato ad essere trasparente. Ha lunghi capelli dorati che costringe sempre in uno chignon scompigliato, occhi di un azzurro sbiadito, tre rughe scavate sull’ampia fronte e un corpo esile pieno di cicatrici invisibili.

“Mamma, mi compri un’altra rivista? Ho finito le lettere”
“Te ne ho già comprate due questa settimana, fatti bastare quelle che hai già”
A nove anni Rachele aveva già riempito quattro scatole di lettere, ritagliate dai giornali che trovava in casa o che si faceva regalare dalla mamma; tutte lettere diverse per grandezza, colore e carattere.
Le metteva in ordine e le suddivideva per tipo.
La lettera R da sempre era la sua preferita: il suono morbido e avvolgente le ricordava qualcosa di caldo, di buono. E poi era l’iniziale del suo nome. Se era addirittura ‘arricciata’, come chiamava lei la R moscia, allora la sensazione di abbraccio si faceva ancora più forte. Per sentirsi protetta e al sicuro le bastava sedersi per terra disponendo attorno a sé tutte quelle R a formare un cerchio con lei nel mezzo.
Le parole che negli anni non è mai riuscita a pronunciare sono diventate lettere sparpagliate sul pavimento, catalogate e chiuse nelle scatole. A volte capitava che ne prendesse qualcuna per assemblare qualche parola: guardava le lettere diverse per colore grandezza e carattere una accanto all’altra, ma non riusciva a pronunciarle.
La sua lettera preferita era la R, ma anche la T, la Z, la S.
Tutte consonanti: le più difficili da pronunciare, perché richiedevano concentrazione e convinzione.

L’odore forte dell’eugenolo impregna ormai qualunque cosa nello studio. Rachele se lo porta addosso, nonostante le mille docce, trasferendolo ovunque. Ci si è abituata come ci si abitua alla presenza dei nei sulla pelle. Le prime volte trascorreva le ore immersa nella schiuma in vasca da bagno: aveva provato tutti i tipi di aromi ma l’odore acre restava, quasi per dispetto per ricordarle, ogni momento, cosa faceva.
Lavorava nello studio del dott. Canova ormai da sei anni come assistente alla poltrona e il suo lavoro, che consisteva in ripetuti rituali e preparazioni per i pazienti, la rassicurava.
Provava piacere nel vedere le persone inermi su quella poltrona sovrastata da aggeggi e pulsanti, con la bocca spalancata incapace di formulare parole, con la bava che il più delle volte non si fermava ai lati della bocca ma invece scendeva in un lento viaggio sul collo. Si divertiva a non pulirli, a umiliarli, mentre loro la guardavano con occhi velati di vergogna.

2017 Torino - dsc_9952 - La collezione - GADM - Marzo 08

“La maestra mi ha detto che oggi hai tagliato una ciocca di capelli a Edoardo¸ e ieri hai buttato nel water l’astuccio di Pietro. La devi smettere di fare queste cose!”
Rachele non sapeva spiegare il perché di quei gesti. Aveva solo voglia di punire i compagni che la prendevano in giro gettandole addosso parole pesanti che la ferivano profondamente.

“Rachele, cicciona come le mele”, “Rachele senza mani e con le chele”: sentiva risuonare nella sua testa le risate acute, squillanti, impietose dei suoi compagni. Tutti maschi. Maschi che poi sono diventati uomini e hanno lasciato nella sua vita strati di mancanze incolmabili.

Ogni sera Rachele, dopo aver messo a letto Filippo, accende tutte le candele del salotto, prende la scatola quella grande, contrassegnata dal numero 17, l’ultima iniziata, si siede sul tappeto appoggiando la schiena sulla parte bassa del divano e apre la scatola.
Estrae sempre le stesse lettere, formando le parole che più le stanno a cuore ma che non è capace di pronunciare:

VERGOGNA
DOLorE
rISCatTO
foRza
RiSpLeNdEre

Ma, ad un certo punto, le lettere ritagliate dai giornali non le sono bastate più. Quelle parole formate da lettere di colore carattere e dimensioni diverse, avevano bisogno di vivere.

Il dott. Canova finisce di curare il buco lasciato dall’estrazione del dente del giudizio.
“Pulisca la bocca del paziente e prepari poi la sala per il prossimo”
“Certo, ci penso io”
Rachele si avvicina all’uomo sdraiato sulla poltrona, inclinata all’indietro, si avvicina all’orecchio sussurrandogli qualcosa, gli strizza l’occhio e inizia a fare quello che fa con tutti i pazienti uomini.

Annibale sta cercando il suo mensile preferito: lo vede esposto sul lato destro dell’edicola, lo afferra e lo porta al giornalaio, gli allunga i cinque euro, prende i due di resto e se ne va dicendo ‘ghazie’.

Davide sta percorrendo a piedi gli ultimi metri che lo separano dal luogo dell’appuntamento. Il telefono gli vibra nella tasca dei pantaloni. Lo prende, guarda il display accigliato, preme il tasto verde e risponde, in tono secco ‘sono qui vicino, sho arrivando’.

Rachele guarda dentro la bocca di Annibale, tasta le pareti con il piccolo strumento appuntito: nessuna reazione. Gli punge il palato piano: nessuna reazione.
Afferra la forbice oblunga, la inserisce nella bocca e gli trancia di netto l’ugola.
Nessun rumore. Il poco sangue che inizia a scendere viene subito assorbito dall’aspiratore, sparisce nel contenitore dei liquidi residui per mescolarsi con quello dell’intervento precedente.
Ci vuole poco, la ferita si cicatrizza subito, nessuno si accorge mai di nulla.
Annibale, Davide, Mario, Giorgio, Guido, Lorenzo, e molti, molti altri. Tutti maschi.
A ciascuno di loro, dei perfetti sconosciuti, Rachele ha tolto l’ugola per prendersi una lettera.
Ogni ugola l’ha riposta con cura in un vaso Bormioli da 500 ml, sotto spirito, che ha nascosto in dispensa tra le lenticchie e il miele.

Filippo ha fame e sta cercando qualcosa per fare merenda. Dietro la fila di succhi di frutta vede il vaso Bormioli da 500 ml con il grumo rosa al suo interno. Lo prende, lo apre, inspira l’odore pungente dell’alcol e senza pensarci afferra un pezzetto di materia rosa portandoselo alla bocca.

2017 Torino - dsc_9986 - La collezione - GADM - Marzo 08


foto bn

Claudia Acquistucci è trevigiana di fatto ma romana nell’indole.

Pu avendo superato i quaranta, se ne sente sempre venticinque e detesta essere chiamata ‘signora’.

Si è avvicinata tardi alla scrittura, ma da quando l’ha incontrata non l’ha più lasciata.


multibaldinChristian Baldin, nato timido e tecnico in quella parte di Veneto fatto di provincia, nebbia, campagne e telefoni a disco combinatore, nel tempo coltiva e abbandona a più riprese la fotografia come passione. Solo quando, una dozzina o più di anni fa, decide di trasferirsi nella città di Torino, finalmente capisce perché gli piaccia così tanto e, soprattutto, che gli rimarranno sempre nel cuore le immagini della sua provincia. In qualche social si fa chiamare A Little Come Back.

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