Insonnia

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Così come la parola “cane” indica tanto un chihuahua che un alano, lo stesso vale per “insonnia”: ciascuno ha la sua, che differisce da quella di tutti gli altri per dimensioni, comportamento e pedigree.

Arrivo alla sera che sono disintegrato. Non riesco a fare nulla – neanche rispondere ai messaggi su Whatsapp; mi do comunque una spinta a dormire, con una camomilla solubile e un milligrammo di melatonina, come si usa da una certa età in poi. Gli effetti sono così veloci che devo calcolare il tempo che mi serve per andare dalla cucina alla camera da letto per evitare di essere sorpreso dal sonno durante il tragitto.
Quindi mi distendo, prendo l’ereader e inizio a leggere – in questo periodo alterno “La fiera delle vanità” di Thackeray (grandissima sorpresa: è un libro delizioso e di un’intelligenza stratosferica), massimo cinque minuti, a “La morte della tragedia” di George Steiner (saggio notevole), massimo sette minuti e mezzo; vorrei leggere di più ma è tipo quando mandano i razzi in orbita, in cui, dopo il decollo, si stacca un primo pezzo, poi un altro, e poi si vede la piccola navicella che vaga silenziosa nello spazio: quella navicella è la mia anima addormentata, che ha perso le gambe e poi tutto il corpo.

Entro in uno stato di letargia soporosa: attorno a me sento gente che si muove, porte che si chiudono, sospiri, il fischio del bollitore del the che arriva dalla cucina, un televisore accesso, famigliari che parlottano tra di loro, ed è come se io fossi in un sogno, o fossi diventato uno di quei tizi del libro di Oliver Sacks, quello dove la gente si era addormentata di colpo, così, per mezzo secolo. Ogni notte, mia moglie si distende accanto all’involucro vuoto che conteneva suo marito durante il giorno.

Iniziano cinque o sei ore di nulla assoluto. Se fosse possibile scontare la morte a rate, ogni notte io potrei versare un sostanzioso acconto. Niente sogni, nessuna interazione con l’ambiente circostante. Un vegetale, tipo una patata, una carota – creature del sottosuolo.

Ma poi, quando arriva l’alba, mi sveglio di colpo, quasi sempre nell’esatta posizione in cui ero morto la sera prima – mezzo congelato, rattrappito, e subito vigile. Tendo l’orecchio per sentire se è partita la pompa del riscaldamento: se è spenta, e lo è sempre quando mi sveglio, so che non sono ancora le sei. Cerco di riprendere sonno. Mi convinco che se cambierò ancora una volta lato sul quale dormo, potrò riaddormentarmi fino alla sveglia: assomiglio a una braciola sulla griglia. Ma continuo a sentire rumori: un gatto che cammina, due uccellini che discutono, qualcuno al piano di sopra che fa la pipì, il camion delle immondizie che viene a ritirare i bidoni, il mio cuore che batte.

E’ uno stato di bagnasciuga del pensiero: sono sveglio ma il contenuto del mio pensiero è incasinato come nei sogni; e questi sogni sono sempre legati al lavoro, a una mostruosa deformazione di quello che faccio durante il giorno. E’ come se dopo aver passato una giornata a fare cruciverba, in quelle ore mi trovassi a doverne risolvere ancora, ma cangianti, giganteschi, con strutture in cui le definizioni mutano in continuazione, come le dimensioni della griglia, i contorni delle righe e delle colonne. Sono le ore più lunghe della giornata, le più brutte. Vorrei alzarmi ma non ne ho la forza – fuori è freddo e buio; vorrei dormire e non ci riesco.

Solo una volta ho fatto una piccola follia: alle sei meno un quarto sono andato in cucina e mi sono fatto una camomilla solubile, una di quelle che bevo la sera. Ce ne sono con la melatonina dentro, ma in quella che uso credo che mettano la d**ga degli zombie o principi analoghi. Sono tornato a letto. L’angoscia era sparita e i sogni sono diventati meno confusi, più belli. Quando è suonata la sveglia, stavo ancora dormendo – un piccolo miracolo che non succede mai! Che bello, ho pensato! Ma è stato un boomerang. perché mi sono trovato alle sette del mattino pronto per andare a nanna per una notte intera. Dovrei trovare dei cerotti alla camomilla da attaccarmi al braccio prima di andare a dormire, a rilascio ritardato.

Mi sono fatto forza, mi sono alzato, ho fatto la doccia, ho bevuto il caffè. Tutto attorno il mondo era imbottito. Un’ora dopo, mentre guidavo, pensavo che se mi avessero fermato mi avrebbero tolto non solo la patente ma anche la scheda elettorale e la patria potestà sui figli. Una roba tipo la notte dei morti viventi. Così ho preso un altro caffè, e poi un altro ancora, rovinandomi l’umore per tutta la giornata.

Vedo i miei gatti. Dormono anche 23 ore al giorno. Ronfano, russano, si acciambellano o si allungano in base alla temperatura. Ogni tanto ciucciano nel sogno – ricordi d’infanzia, immagino. Ecco, scambierei con loro qualche giorno della mia vita per viverne una in cui il sonno non è un problema, e la parola insonnia è qualcosa di cui non conosco il significato.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. apheniti ha detto:

    Io vado molto a periodi, ci sono state settimane in cui mi sono svegliata tre, quattro o cinque volte per notte, sempre con un senso di ansia e angoscia.
    I gatti hanno capito tutto dalla vita…

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