La cena dei condomini – di Martina Manfrin

Tra i vari argomenti ricorrenti che tornano quando si parla di letteratura, di libri e autori, oltre al problema della giusta distanza del narratore dai suoi personaggi, la prevalenza della trama o quella dello stile e le d eufoniche – ci vanno o non ci vanno? – c’è sempre la questione dell’impegno sociale degli scrittori: devono tirarsi fuori dalla contemporaneità o è auspicabile che prendano posizione? Possono cambiare il mondo con le loro parole? Devono volerlo? A qualcuno interessa il loro punto di vista?
Ovviamente non ho una risposta che, per fortuna, non credo esista. Sono convinto, comunque, che al di là di tutto ciò che conta è la qualità della storia che si racconta; se poi l’argomento trattato ha implicazioni politiche, va benissimo, e forse chi legge si porta a casa qualcosa in più.
Il racconto di Martina Manfrin, giovane autrice padovana, mi ha commosso, e lo fa tutte le volte che lo rileggo. Parla
anche del mondo di oggi, ma sono convinto che riletto tra una cinquantina d’anni, ammesso che tra cinquant’anni esista ancora un mondo, dovrebbe fare ancora più o meno lo stesso effetto. Buona lettura!

 

  La cena dei condomini
di Martina Manfrin

“Il giorno 7 del mese di Gennaio 2019 alle ore 12 presso lo studio dell’amministrazione De Cecco sas sito in via Carne 1, Padova, si è riunita in seconda convocazione l’assemblea ordinaria dei condòmini per discutere e deliberare sul seguente…”
Alla riunione c’erano tutti i condomìni propietari ma senza Giovanna, che è andato solo il marito Mario, perché lei a quella ora sta nel apartamento al secondo piano e riposa. Giovanna ha cancro.
Dicono qui, che è bene non prendere sole i mesi con la R, che viene cancro. Quando esce il sole di Febraio, io alzo le maniche del maglione di Mario fino sopra al gomito e trattengo il sole dentro le ossa; quando va via, apro una botiglia e trattengo il bere dentro la pancia.
Ci sono due giorni ancora che mancano, dopo, c’è la cena di ogni 4 mesi del ‘Condominio Sereno’.
Che si chiama ‘Condominio Sereno’, lo dice la targa inchiodata sul cancelo.
La cena prima, ha cucinato la Signora Gianna molte cose buone e si è bevuto tanto. Questa cena cucina la signora Franzi Giuliana. La signora Franzi Giuliana è la sposa di schifoso Franzi Roberto.
Franzi Roberto lo voglio prendere a calci e spacare il suo muso di merda adosso le grate del cancelo e lo voglio sbatergli la testa su ringhiera di piombo per esplodergli il cervelo e fare uscire da suo cranio fontana di sangue e condiscere i sassolini del giardino condominiale con suo sangue sporco e mescolare sassolini come orechiette al pomodoro.
Franzi Roberto pensa che è il meglio di tutti: ha lampadario più grande di tutti i lampadari di tutti gli apartamenti, ha macchina più grande di tutte le macchine di tutti i condomìni, è tirchio più di tutti i tirchi di tutto il quartiere. È anche stupido. Non si nasconde quando ruba le molette a Martina. Pensa che non lo vedo. Che a lei non glielo dico. Ma ora so, e la prosima volta le dico tutto il vero. Il vero è che apena a Martina le scivolano le molette giù dal balcone, lui corre nel giardino – vecchio di merda – e le mette in tasca e rientra silenzioso senza batere il portone.
E quando Martina più tardi cerca tra i sassolini, non le trova mai.
Ci sono certi giorni che ci vado anche io, a cercare tra i sassolini. Penso che se ritrovo delle molette posso ridarliele, ma quando sono andato io non le sono mai cadute.

“Sul Punto 3° dell’ODG i condòmini discutono sulla necessità di procedere alla sostituzione dell’impresa che si occupa della pulizia delle scale, come da mozione presentata del Sig. Franzi. I condòmini, attesa la sommaria pulizia del vano scala, delegano l’amministratore a convocare…”
È fredo fortissimo, questo Febraio. Il camino sputa fumo e io sputo cattarro: sono densi tutti e due, il fumo va in alto, il cattarro cade in basso. Il camino prende il fredo da dentro gli apartamenti, lo solidifica, e lo sputa fuori; io prendo la rabia dentro di me, la solidifico, e la sputo fuori.
E c’è così fredo e così rabia, che non ci fermiamo mai di sputare, il camino e io.
Questo inverno, oltre a sputare il cattarro, lègo e rilègo i verbali delle riunioni dei condomìni. Li lègo per aiutarmi a dormire, per imparare meglio la lingua e per restare agiornato sugli avenimenti di ‘Condominio Sereno’.
È già tardi, Mario torna dal lavoro e io ho bevuto più di meza botiglia del gin.
Mario saluta sempre e soride sempre: qui ci si conosce tutti, condominio è solo di 6 apartamenti, per questo tutti sono conoscenti.
Anche se ho bevuto il gin sento il male alla caviglia che è ingrossata, ma me lo dimentico perché vedo Francesca che torna a casa con gli occhi gonfi di piangere. Il male di Francesca é Ernesto. Ernesto preferisce una altra dona e la bacia a scuola, con la lingua, nella pausa, e dice a Francesca che lei non ha impegno politico e lui vuole dona inteligente.
Francesca ha comprato molti giornali di politica, ha ritagliato gli articoli e butato i giornali: “se i miei li trovano, mi ammazzano. Li odio. Mi hanno rovinato la vita”.  Anche grazie a Francesca, miglioro la conoscenza della mia lingua. Francesca ripete sempre lo stesso “Ernesto, ti chiedo solo di darmi una possibilità, di credermi quando ti dico che il mio impegno politico e sociale è forte.” oppure “Ernesto, dammi una possibilità, se solo tu mi permettessi di farmi conoscere, scopriresti che ho molte passioni che potremmo condividere”. Se qualcuna delle sue letere la ha consegnata anche a Ernesto, mi sembra che non funziona molto: ha sempre gli occhi gonfi di piangere. Forse la colpa non è solo di Ernesto, è anche di suoi ormoni. Il mese passato, Francesca ha avuto prima volta di mestruazioni. Lo sappiamo solo lei, le sue amiche, e io. Lo nasconde al papà Paolo e alla mamma Diocane. Diocane è l’unica condomìnia che non chiamo con il vero nome: c’è stato un errore all’inizio, io sempre sentivo le urla fortissime di Paolo la sera: la chiamava urlando potentissimo “Diocane Diocane”. Poi ho imparato che il suo nome vero era altro, ma non lo ho mai saputo ricordare.

È tardi e non riesco a dormire. Bevo ancora il gin, continuo a lègere di ultima riunione di assemblea e mi riscaldo i piedi con gli asorbenti di Francesca.

“Sul Punto 4° dell’ODG i condòmini discutono sulla necessità di abbattere il pino, attestatane l’eccessiva altezza e le condizioni precarie, come da servizio fotografico presentato dal Sig. Franzi. I condòmini, incaricano l’amministratore di contattare la Società Cardis S.r.l. per il tempestivo svolgimento dei lavori…”

-Buongiorno Giuliana, ho già l’acquolina in bocca! Il Franzi è pronto a ospitarci?
-Non vediamo l’ora. Per l’occasione, provo una nuova ricetta
-Fantastico. Al vino, ci penso io! A stasera
Come corre il tempo quando dormo grazie al gin: Francesca è già alla scuola, la Signora Franzi Giuliana va già a fare la spesa, Giovanna va già alla ospedaliera a curarsi e Mario la accompagna prima del lavoro.
Io e Mario abbiamo davvero una grande somigliazione: stessa taglia di maglione, stessa taglia di pantaloni, stessa taglia di mutande.
Oggi uso i suoi pantaloni marroni, molto caldi e eleganti. Alzo le maniche del maglione di Mario fino sopra al gomito e camino per il quartiere. Bevo un po’ di gin anche se è solo matina: oggi è giorno di festa. Mi muovo fischiando un po’, sono alegro. Vedo un alto pino, altissimo, propio come quello abbatuto nel ‘Condominio Sereno’ pochi giorni indietro a oggi.
Era lì da molto più tempo di tutti i condomìni, ma non gli è bastato per restare dopo di loro.
Solo Giovanna non voleva l’abbatimento: “Gentili Condomini, sottopongo alla vostra attenzione una soluzione alternativa all’abbattimento della pianta. La società Scherni Srl può realizzare una struttura di sostegno che ne garantisca la stabilità, e che graverebbe su ciascuno per una cifra di 400,00€”
Non so se la ha mandata anche agli altri condomìni, ma non la hanno ascoltata. Io ho solo ricordo confuso del abbatimento del pino, perché avevo bevuto più gin quel giorno. Nella finestra del piano secondo, Giovanna fissa il pino: è senza i capelli finti, ha la testa bianca e grande. Nella finestra del piano terzo c’è quel filio di putana Signor Franzi, che ha bocca inclinata di sorriso. Io tracanno il gin e inizio a urlarli contro, a sbatere i pugni e cattarrare forte di disprezzo. È meglio: Giovanna mi guarda a me che urlo e non guarda i rami che cadono.

E mentre penso e bevo, il tempo ha corso, sono già ritornato a casa e scopro che si mangerà tanto anche stasera. La Signora Franzi cucina:

listaspesa

Francesca è tornata a casa e già uscita ancora: ha avuto seconda volta di mestruazioni, e ancora non ha detto niente alla familia. Oggi, nel sacchetto della Coop, ci sono gli asorbenti usati accartocciati stretti stretti come piccoli salamini, c’è il pachetto non finito con gli asorbenti nuovi, ci sono due penarelli indeledili e altre letere per Ernesto. Conservo un penarello e tutte le letere.
Prendo due asorbenti nuovi, li apro, e li metto sulla suola dentro la mie scarpe. Gli asorbenti sono molto scaldanti.
Rientrano tutti caminando un po’ più di fretta questa sera. Credo che non vogliono arivare tardi alla cena.
-Vado a chiamare l’ascensore dice Mario e va più svelto, mentre Giovanna si muove più lenta del solito, oggi. La medicazione la ha fatta stare peggio. Faccio dei passi e mi avicino a lei. Ho una curiosità: di vedere come sono ataccati i capelli finti. Ma di improviso lei va più veloce, io ho bevuto tropo e mi trovo più distanziato. Chiude il cancelo e lo spinge e lo tira e lo spinge e lo tira e lo spinge e lo tira e lo spinge e lo tira. Poi ritorna lenta e camina verso il portone; credo che non mi ha visto perché sempre ha tenuto gli occhi bassi.

Ho molta sete di gin. Bevo forte, riempio la gola e ce n’è così tanto nella bocca che il tubo non lo fa scendere tutto e un po’ ne esce, ma ne spingo dentro ancora, per costringere quello già dentro a scendere giù. Non mi piace lasciare la botiglia non finita. La finisco. I condomìni stanno mangiando adesso le tartine: alzano i gomiti ma non hanno le forchette. Giovanna è seduta alla sedia, Mario parla con Diocane, Paolo guarda il lampadario gigante, Francesca non la vedo, Martina parla con il Signor Franzi, filio di putana, ma domani le dico il vero. Ho finito il gin, ma il sonno ancora non viene. La coperta che ha buttato via Diocane è molto calda. È di lana bucata. L’ho sistemata dentro i cartoni che ha lasciato Martina dopo il traslocco. Adesso finisco di lègere della riunione, e spero che il sonno ariva.

“Sul Punto 5° dell’ODG si delibera che il cancello deve venire sempre rigorosamente chiuso, per evitare che, come da reportage fotografico del Sig. Mario Carletti, l’immigrato nero, abusivamente stabilitosi a dormire vicino ai cassonetti di fronte all’edificio, irrompa nel giardino condominiale. È stato visto raspare tra i sassi e, come evidenziato dal Sig. Mario Carletti, oltre ad arrecare danno alla cosa comune, compromette il decoro dello stabile.”

Lègo molte volte questo pasaggio perché il gin mi confonde la testa. Manca qualcosa. Lègo lento. Stacco ogni parola dalle altre e la lègo da sola. Manca qualcosa. Sputo forte il cattarro, cade acanto alla mia faccia. Esco dalla coperta di Diocane e dai cartoni di Martina, con i vestiti di Mario duri per il fredo fortissimo, prendo il penarello nero di Francesca, stringo le dita intorno, mi fanno male mentre le piego, schiacio la punta sopra i cartoni fortissimo. È rotto. Non ha il colore dentro. Schiacio ancora. Il colore non esce. Schiacio ancora. Voglio scrivere, ma il colore non esce. Lancio il penarello nel giardino con il cancelo chiuso e cattarro verso di loro. Voglio entrare nei cartoni e dormire un sonno profondo. Mi giro. Sul cartone più in alto vedo una ombra. Ho fatto una incavatura dove ho schiaciato forte con la punta di penarello. Volevo solo scrivere mio nome Assahel.


 

martinaMartina Manfrin nasce a Padova nel 1988. A Londra organizzava eventi d’arte contemporanea, a Padova lavora nel B2B. Il suo punto di vista: la maggior parte dei problemi del mondo deriva dall’incapacità degli individui di mettersi nei panni degli altri; nulla ha importanza, la qual cosa consente di prendere tutto con estrema serietà; è sempre possibile scegliere, scegliere bene significa scegliere di stare dalla parte di chi è più debole.Scrive. È attratta dall’imprevedibilità. Vive con Frida🐾. Si ritiene una persona fortunata.

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. glencoe ha detto:

    L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.

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